di Stefano Di Palma
Il pregevole altare marmoreo si trova nella cripta della Basilica di San Domenico Abate. L’arredo liturgico è ubicato nel fondo della campata centrale ed è circondato dalle affascinanti prospettive create dalle colonne che si moltiplicano nelle volte di copertura percepibili come parte integrante dell’intero ambiente.
Il monumento si erge su due gradini ed è posizionato a poca distanza dal muro perimetrale della cripta dove si crea così un percorso utile per girarvi intorno e poter osservare, nella zona retrostante priva di decorazione e completamente scavata, il sarcofago in pietra che contiene i resti mortali di san Domenico.
La decorazione del manufatto si svolge dunque nelle due pareti laterali ed in quella anteriore tutte rivestite di marmo chiaro lungo le cornici perimetrali e nel cui interno si trovano specchi di marmo verde. Si afferma così una certa armonia coloristica che unisce nell’insieme le parti ma diverso è il tema decorativo che si svolge su di esse.
In ciascuna delle pareti laterali è composto lo stemma di papa Clemente XI, costituito da tre monti ed una stella separati da una banda orizzontale, che si staglia su del marmo nero; ognuno di questi emblemi è inglobato in un’elegante cartella fregiata nella sommità dalle chiavi incrociate e la tiara papale creata con marmi gialli e che si snoda nel campo assegnato con grafica nitidezza. In queste porzioni dell’opera si celebra l’importante committente ovvero papa Clemente che nel 1706 in qualità di Abate Commendatario di Casamari ordinò e dispose sia l’esumazione dei resti di san Domenico sia la riqualificazione del suo sepolcro.
Nella parte anteriore dell’altare si ricorda infatti la sua funzione di prezioso scrigno che contiene le reliquie del santo; l’intero prospetto è occupato da un’arca in marmo giallo, che si erge su zampe leonine ed accoglie al centro una bianca “imago clipeata” che raffigura san Domenico. Questo ritratto si articola in un breve spazio; i tratti somatici sono resi con essenzialità e, tramite un ricercato espediente giocato sul movimento contrapposto che si innesca tra il busto ed il viso, l’immagine si carica di pregevoli effetti. Insieme alla mitra incisa sulla destra del tondo, sulla sinistra è presentato l’altro attributo che in quest’opera qualifica Domenico come abate, ovvero il pastorale.
Secondo la tradizione san Domenico sarebbe deceduto proprio nella cripta della basilica di Sora appoggiandosi ad una delle colonne ivi presenti; a questo evento si collega l’uso dei devoti di arrestarsi davanti a ciascuna delle colonne che scandiscono questo sacro ambiente per invocare l’intercessione del taumaturgo presso il Signore.
La cripta, creata sin dalla fondazione della chiesa come mistico luogo provvisto di materiali di spoglio di epoca romana, ha ospitato da sempre i venerati resti mortali di san Domenico pur subendo nel corso dei secoli vari rimaneggiamenti. L’intervento dell’Albani s’inserisce dunque in un contesto architettonico e decorativo già connotato e gli esiti artistici descritti ancora oggi si qualificano come preziosa testimonianza di questo glorioso passato. Il monumento risulta dunque un prodotto realizzato da maestranze locali e da maestranze romane espressamente inviate a Sora da papa Clemente con i marmi già lavorati.
Dopo la costruzione di questo altare-tomba si ricordano altre manomissioni del venerato sepolcro; tra queste spicca quella di drammatica portata avvenuta nel 1799 che si collega alle irruzioni dell’esercito napoleonico nella città di Sora. In quel tempo i francesi invasori saccheggiarono la chiesa ed il monastero provocando numerosi danni ed anche l’altare donato da papa Albani fu oggetto della furia devastatrice di quei soldati che, scesi nella cripta, pensando probabilmente che il piccolo monumento contenesse un tesoro nascosto, tentarono di profanare la tomba. Le fonti ricordano che il vile scopo non fu completamente messo in atto poiché, nel pieno delle operazioni di manomissione, per miracolo si udì un ingente terremoto che seguito dall’inondazione del fiume Fibreno costrinse alla fuga dal sito l’intero esercito.