SANITA'

Sora – Roberto Di Pucchio, una morte da chiarire

Riceviamo e pubblichiamo una lettera appena ricevuta dal fratello di Roberto Di Pucchio, il 52enne morto l’altro giorno nell’ospedale di Tor Vergata. E’ la ricostruzione soggettiva delle ultime ore dell’uomo. Un decesso che ha suscitato forte cordoglio in tutta la città. Lettera che non contiene accuse circostanziate, ma definisce un quadro che suscita dubbi e perplessità tali da indurre i familiari a valutare la possibilità di un esposto denuncia che accerti eventuali responsabilità.

La riportiamo integralmente riservando come sempre l’opportunità alla Asl di intervenire sulla vicenda.

Lunedì 12 Febbraio, presso il Policlinico Tor Vergata di Roma, è venuto a mancare il cinquantaduenne sorano Roberto Di Pucchio a causa di una dissecrazione aortica addominale, ovvero una spaccatura della parete del vaso sanguigno; una morte che ha suscitato tanta tristezza nei familiari e nei numerosissimi amici e conoscenti.

Riavvolgendo il nastro di quanto accaduto i familiari e gli amici si chiedono se i soccorsi effettuati presso il nosocomio Santissima Trinità di Sora siano stati “impeccabili” e tempestivi.

Venendo ai fatti, il paziente, sentitosi male presso la propria abitazione, effettua un primo accesso al pronto soccorso dell’ospedale sorano poco dopo le ore 10:00 di lunedì scorso, lamentando, in sede di triage, forti dolori all’addome e al petto all’altezza dello sterno, che vengono valutati dall’addetta di turno come codice verde, ovvero “evento poco critico con assenza di rischi evolutivi e prestazione differibile”. Roberto, a causa dei forti dolori e valutata la lunga e vana attesa, dopo circa due ore torna a casa non potendo più sopportare i forti dolori seduto su una sedia in sala d’attesa. Considerato il persistere del dolore ed il sopraggiungere di ulteriori sintomi, fa intervenire il 118 al fine di poter avere accesso nei reparti del pronto soccorso e nella speranza di essere curato. L’accesso in P.S. avviene dopo le ore 14:00, e nelle ore successive, riferisce in varie telefonate con i propri familiari, di essere stato solo parcheggiato e di non ricevere alcuna cura.

Finalmente dopo tanto tempo viene assistito con una flebo e solo dopo le ore 17:00 viene sottoposto ad ecografia addominale e TAC. Alle ore 17:39 il povero Roberto, con voce flebile contatta telefonicamente suo fratello riferendo di essere in condizioni critiche e dell’imminente trasferimento predisposto presso il policlinico Tor Vergata di Roma per sottoporsi ad un intervento urgente. Solo alle ore 18:46, a seguito dell’impossibilità di decollo dell’eliambulanza per via di condizioni meteo in quota non favorevoli, il povero Roberto intubato inizia il trasferimento in autoambulanza presso il nosocomio romano, nel quale giunge in condizioni disperate tanto che i medici non possono più salvargli la vita.

Dalla cronaca di quanto accaduto scaturiscono tanti interrogativi:

– come mai nonostante i preoccupanti sintomi rappresentati al P.S. di Sora nel primo accesso (dolore forte al torace e all’addome) a Roberto è stato assegnato un codice verde?
– È stato eseguito correttamente il protocollo sanitario in relazione ai sintomi?
– Sono stati approfonditi a dovere i sintomi presentati dal paziente?
– Com’è possibile che accedendo alle ore 14:00 circa in ambulanza con i sintomi ancora più acuti del precedente accesso mattutino, la diagnosi sia stata effettuata solo dopo le 17:00?
– Con una diagnosi così grave, il trasferimento poteva essere effettuato in tempi più brevi?
Con la patologia riscontrata al povero Roberto, il fattore tempo è determinante per tentare di salvare la vita, pertanto la domanda principale è: Roberto poteva essere salvato?

Il fratello Claudio di Pucchio