Non sarà sfuggito agli occhi degli abitanti di Sora, ma questo fenomeno è evidentemente sparso in tutta la nazione, che troppo spesso davanti i supermarket della città sono ci sono alcuni immigrati presumibilmente di origine africana costretti a chiedere “qualche spiccio” e qualcosa da mangiare per sostentare la loro permanenza “felice”, vivendo con difficoltà quella vita libera e dignitosa che immaginavano lasciando il loro Paese di provenienza.
Ormai abbiamo dato per assodato il fatto che nel mondo sono in corso svariati conflitti che impongono a milioni di persone di esodare dalle proprie terre, chi in cerca di libertà nel senso vero e proprio del termine in quanto fugge da conflitti persecuzioni e costanti attacchi terroristici e chi invece, sceglie di emigrare per migliorare le proprie condizioni di vita, i cosiddetti “ migranti economici”. Entrambi sono comunque da rispettare.
E allora, noi, cosa possiamo fare? La società civile, oltre ad osservare tale fenomeno, persuasa dalle quotidiane immagini di migranti, spesso bambini, morti in mare e dalle immagini di territori completamente distrutti dai vari conflitti, dovrebbe dibattere, agire, informare e non accettare in silenzio. Le scuole, le università, le sedi di partito, i movimenti, i collettivi chiunque faccia politica non può esimersi dall’affrontare il dibattito sull’immigrazione strettamente legata alle guerre e non con un semplice “stop immigrazione” o “chiudiamo le frontiere!” Sarebbe troppo facile.
Non è certamente facile fare una sintesi di quanto sta accadendo ma è evidente agli occhi di tutti che c’è qualcosa di sbagliato nelle politiche internazionali che i grandi Stati del continente stanno adoperando, ed è troppo debole se non inefficace il movimento che si oppone a questo tipo di scelte che scaturiscono drammatiche conseguenze a discapito di tutti. Anche le politiche sull’integrazione soffrono di alcune mancanze, perché integrazione non significa solo accogliere ma anche creare opportunità.
Nulla è impossibile, ed i giovani studenti statunitensi che a metà degli anni ’60 ebbero il coraggio di ribellarsi contro la guerra in Vietnam, fuori e dentro le università scrivendo la storia sono da lezione.
Alessio Donfrancesco