di Stefano di Palma
Come osservato per il periodo medievale esistono alcuni ritratti di san Domenico che provengono da altri contesti territoriali meritevoli di una speciale trattazione.
Il primo esempio ci è fornito dalla pala d’altare di autore ignoto e datata al 1687 conservata nella Collegiata di San Michele Arcangelo in Vico nel Lazio (Fr). In questa pittura è raffigurata l’apparizione della Madonna con il Bambino affiancata dai santi Giuseppe e Giovanni Battista e con i santi Michele Arcangelo, Domenico e Lucia Martire.
L’abate Domenico è rappresentato in basso a destra, è inginocchiato, indossa l’abito monastico bianco e scapolare nero ed è provvisto di croce pettorale. Egli mostra un volto maturo ma ancora giovane con barba e tonsura scura e rivolge un’assorta espressione verso la Madonna sottolineata dal gesto di una mano portata sul petto e l’altra sollevata in segno di acclamazione.
La tela di Vico nel Lazio si evidenzia come composizione d’intensa policromia ma di fumoso chiaroscuro ispirata a schemi napoletani della prima metà del secolo XVII. Il discreto interesse artistico di questa pittura è dovuto ad alcune ingenuità prodotte dall’autore come si riscontra ad esempio nella poca gestione di un corretto rapporto proporzionale delle figure dei santi ed in altri particolari.
A tal riguardo si evidenzia la problematica presenza del giglio posto per terra e non troppo lontano dalla figura di san Domenico; i precedenti studi in cui l’opera è stata analizzata non si soffermano su questo particolare e riconoscono senza esitazione il taumaturgo di Sora nella raffigurazione del monaco inginocchiato. Effettivamente gli stretti legami che intercorrono tra san Domenico e il paese di Vico nel Lazio (come una sua visita documentata in quel posto) lasciano pochi dubbi circa l’identificazione. Di contro non esiste culto verso l’omonimo santo, ovvero Domenico di Guzman, a cui questo fiore è iconograficamente associato. Poiché poggiato a terra, il giglio potrebbe essere visto come un puro ornamento dell’affollata composizione oppure, più probabilmente, come possibile errore dell’autore che colloca correttamente solo la carica di abate del santo dipingendo la croce pettorale.
Il secondo esempio è di autore ignoto, si colloca alla seconda metà del secolo XVIII e si tratta dell’olio su tela raffigurante i santi Domenico, Benedetto e Bibiana conservato nell’omonima cappella di Castelmassimo (Fr).
L’Abate è raffigurato a sinistra, al centro è san Benedetto a destra c’è santa Bibiana. Domenico è vestito con abito bianco (compreso di cappuccio) e scapolare nero. Egli sostiene con un gesto elegante un libro chiuso dalla copertina rossa; tale posa rende parzialmente visibile la croce indossata sul petto ed una corona del rosario che parte dalla cintura e che pende su un fianco della figura. La qualificazione del santo come abate è completata dal metallico pastorale da lui saldamente impugnato con la mano libera. Austera, ma al contempo docile, è la resa del volto il cui sguardo è fisso verso l’osservatore; la resa della pelle morbida s’interrompe nella bianca barba che, mediante un soffice effetto, è più rada nella zona dei baffi per poi arrotondarsi sul mento: essa incornicia ed esalta il vivido colore delle labbra chiuse.
La stesura di questa pittura è contestuale alla costruzione della cappella avvenuta in seguito all’autorizzazione che nel 1756 il vescovo Pietro Saverio Antonini rilascia al presbitero Benedetto Tarquini per erigere sul proprio fondo terriero, nel suolo verolano della contrada “Colle Morgatti”, una chiesa posta sotto il titolo e l’invocazione del patriarca Benedetto, Domenico e Bibiana.
Alla fondazione concorre anche la sorella del prete, ovvero Celeste Tarquini, come ricorda l’epigrafe conservata nel sacro luogo. Nel medesimo posto sono custodite anche una reliquia di san Domenico ed una statua di scarso interesse artistico in cui egli è raffigurato in abito cistercense.