Ricorderemo a lungo le vicende dell’hotel di Rigopiano. Nel breve e pur lungo volgere di alcune ore, siamo stati fagocitati dalla crudezza della cronaca, fino quasi a sentire sulla nostra pelle il freddo della neve impietosa, della tragedia, della morte, mentre inarrestabile procedeva il passo lento dei soccoritori-eroi.
Il tam tam dell’informazione e dei social media ha fatto rimbalzare la notizia della slavina abbattutasi sull’hotel di lusso, nel bel mezzo di un’apocalisse, in cui terremoto e neve hanno incrociato le armi.
Immancabile la trasmissione di approfondimento di Bruno Vespa (a cui, questa volta, è mancato solo il plastico del luogo dei fatti), la sequela delle testimonianze di amici e parenti delle persone che si trovavano nell’hotel in vacanza o al lavoro e il racconto dei primi soccorritori arrivati sul posto, con quelle laconiche parole: “Continuiamo a scavare”, che quasi cozzavano con l’espressione degli occhi di chi sa che è difficile trovare gente viva là sotto.
Difficile, ma non impossibile. Assurdo, eppure reale.
La Natura matrigna – che qualcuno ha voluto intendere essersi ribellata alla mano abusiva dell’uomo – ha restituito dalla sue viscere dieci superstiti, di cui quattro bambini.
Per loro, in particolare, è stato come nascere una seconda volta, partoriti nel dolore (quello della disperazione di crederli morti) e accolti dall’abbraccio di chi li ha tirati fuori da quell’inferno, nell’emozione più pura di coloro che, guardando quella scene dagli schermi di casa, hanno pianto di commozione. Quel cratere scavato tra la neve e le macerie è stato come il grembo di una madre che, sanguinante, ha rinnovato il miracolo della vita.