Comunicati Stampa POLITICA

REFERENDUM – LE RAGIONI DEL NO DI FRANCESCO RABOTTI

Dall’ Avv. Prof. Francesco Rabotti, Presidente Comitato società e Famiglia per il NO Frosinone, riceviamo e pubblichiamo:

E’ molto importante informare ed essere informati per esprimere il 4  dicembre un voto libero e consapevole. Perché, purtroppo, anche se oramai mancano pochissimi giorni all’appuntamento con il voto, sono ancora tantissimi gli elettori che dei contenuti e degli effetti  della riforma   proposta sanno poco o nulla.

Eppure la materia della Costituzione è una questione eminentemente civica  in quanto la Costituzione non è paragonabile ad una legge ordinaria (anche se mi sembra che gli aspiranti costituenti la trattino alla stessa stregua sia per la forma che per la sostanza), essendo la costituzione la legge delle leggi, il fondamento dell’ordinamento democratico  la carta di identità di un popolo, la testata d’ angolo dell’edificio democratico di una nazione  e, soprattutto, come la ebbe a definire uno dei padri costituenti, Giorgio La Pira, la casa comune degli italiani, in quanto reca principi e valori nei quali si riconoscono tutti gli italiani o quanto meno la gran parte di essi. E con il testo vigente della Costituzione è proprio così.

Il testo proposto dal governo  spacca invece il Paese e dunque la casa comune rischia di crollare, in quanto  il cemento armato utilizzato dai padri costituenti e che è servito a costruire lo sviluppo e la crescita del nostro paese, in caso di vittoria del sì, verrà sostituito con la calce o peggio ancora con la sabbia, con incombente pericolo di cedimento delle nostre istituzioni.

Intendo articolare il mio intervento partendo da una brevissima premessa per poi affrontare, sia pur sinteticamente, le principali questioni di metodo e di merito che la proposta riforma costituzionale interpella ed arrivare rapidamente alle conclusioni.

Premessa: questa  riforma, che sarebbe più corretto definire revisione della costituzione vigente, vista la sua mastodontica portata, ha una sua visione, una sua idea di fondo, una sua progettualità che si articola nell’elaborato normativo, o, come mi sembra, è piuttosto una novella normativa confusa e poco meditata, immolata sull’altare  del cambiamento, costi quel che costi?

Cambiamento, infatti, è parola che di per sé non ha una valore positivo, come surrettiziamente vogliono fare credere i sostenitori del sì, ma ha valore prettamente neutrale.

Insomma, per capire il valore del cambiamento, non basta pronunciarne la parola a mo di formula magica, ma valutarne le conseguenze e gli effetti.

Perché si può cambiare in meglio ma anche in peggio, e dunque occorre fare una valutazione dei costi e benefici del cambiamento  e solo dopo fatta questa valutazione se ne può trarre una ragionevole conclusione.

In buona sostanza chi vota no, non è contrario al cambiamento, si oppone ad un cambiamento peggiorativo. Alcuni esempi di cambiamento peggiorativo : oggi abito in una casa confortevole  e domani mi trovo a vivere in una  baracca di legno; oggi ho un lavoro e domani  lo perdo;anche questi sono cambiamenti che credo nessuno voglia. Se si deve stare peggio, meglio non toccare niente e subito dopo il voto lavorare  con senso di responsabilità e serietà per un cambiamento migliorativo.

Questioni di metodo :

  • Iniziativa governativa del testo di riforma ,procedura inusuale e senza precedenti. La riforma è materia del parlamento, non del governo che comunque è espressione di parte che non dovrebbe proprio mettere bocca in materia astenendosi da interventi al riguardo;
  • Parlamento che ha licenziato la riforma, che ripeto è stata di iniziativa governativa, eletto sulla base di una legge elettorale  dichiarata incostituzionale  dalla Corte costituzionale con sentenza n.  1 del 2014. Parlamento che  è in carica solamente in forza del richiamo contenuto nella medesima sentenza  al principio di continuità dello  Stato, potremmo dire per causa di forza maggiore, in applicazione di un broccardo ben noto anche agli studenti di giurisprudenza  con un latinetto:  “horror vacui” la paura del vuoto, la cui declinazione pratica spesso come in questo caso, rischia però di far precipitare negli abissi.
  • Approvazione da parte di una maggioranza risicata del parlamento, mentre la costituzione entrata in vigore nel 1948, ha avuto una condivisione di quasi il 90% .
  • Le costituzioni nascono per limitare i poteri e non per attribuirne di ulteriori come pretende di fare questa riforma a favore del governo e dello stato centrale. Come ricorda Tocqueville uno dei massimi teorici ed ispiratori delle istituzioni democratiche, le costituzioni servono ad evitare la dittatura della maggioranza.
  • La forma della riforma: letteralmente è scritta malissimo, la costituzione deve essere chiara e comprensibile, mentre nel caso di questa riforma, diversi autorevoli costituzionalisti, hanno pubblicamente dichiarato che non l’hanno capita. Figuriamoci dunque, la difficoltà del popolo a capirci qualcosa. Questa non è una circostanza di poco  conto,  la costituzione  da questo punto di vista è stata trattata dagli aspiranti  costituenti alla stregua di in decreto legge, con richiami plurimi ad articoli, commi e lettere, applicando una  tecnica legislativa che è considerata funesta per le leggi ordinarie e, dunque, figuriamoci, per una legge costituzionale.
  • Riforma figlia della cultura dell’ora o mai più. Non è vero che non ci sarà più tempo per fare le riforme, anzi potrà aprirsi un tempo propizio al cambiamento positivo dopo il 4 dicembre se prevarranno i no in quanto il popolo prenderà coscienza della necessità di impegnarsi con senso di responsabilità a seguire con maggiore attenzione la vita pubblica.

Questioni di merito:

  • Eliminazione del bicameralismo perfetto: squilibrio tra Camera e Senato con evidente sudditanza di quest’ultimo.Senato delle autonomie, presenta una forte contraddizione con l’impianto della riforma che punta su una spiccata centralizzazione dell’organizzazione dello Stato, con le Regioni ridotte a meri organi amministrativi e le Provincie eliminate. Costi sostanzialmente intatti, in quanto l’apparato Senato rimane immutato. Assetto dopolavoristico del Senato. Eliminazione bicameralismo perfetto, ma permane il bicameralismo in materie importantissime quali le riforme costituzionali, tutto ciò che è afferente alla applicazione della legislazione della unione europea, che è sempre più preminente nel fissare linee guida e paletti al nostro ordinamento nazionale, legislazione relativa agli enti locali ed , inoltre, anche nelle materie oggetto di approvazione da parte della sola camera dei deputati, il senato comunque ha il diritto di chiedere una revisione, rispetto alla quale la camera ha l’obbligo di pronunciarsi  in senso positivo o negativo. Di più. La legge che stabilisce le norme generali della partecipazione dell’ Italia alle attività e alle politiche dell’ Unione europea (varata nel 2013), autorizza il Senato\organo rappresentativo delle autonomie territoriali ad assumere “posizioni”, formulare “proposte”, adottare “pareri”  che il governo è tenuto a trasmettere in sede europea. Da qui la possibilità di ulteriori, logoranti contrasti, questa volta tra governo e Senato, su temi cruciali di politica estera.
  • Nuova configurazione del Senato –  Aspetti fondamentali: i senatori non verranno eletti più dai cittadini con notevole restringimento del principio su premo e fondamentale della sovranità popolare, sancito nella prima parte della costituzione. Gravissimo vulnus con disincentivo alla partecipazione dei cittadini alla vita democratica, mentre oggi serve massimamente favorire le forme di cointeressenza dei cittadini alla vita pubblica, ad esempio rafforzando in costituzione il principio,già presente, della sussidiarietà, introducendo la sussidiarietà circolare. Per effetto della  eliminazione del  bicameralismo perfetto  non  è vero che diminuiranno i tempi di approvazione delle leggi. Innanzitutto l’Italia è famosa per una sovrapproduzione di leggi che incartano la fluidità dei procedimenti amministrativi, ma il vero problema non è diminuire i tempi di approvazione delle leggi; si pensi che nella scorsa legislatura, dati ufficiali dell’ufficio studi del senato della repubblica, su 224 leggi approvate, 180 sono state approvate in prima lettura, senza il tanto deprecato e richiamato dai sostenitori del sì, fenomeno della navetta  (dunque più letture, ovvero, esami del testo della proposta di legge prima di venire approvata in via definitiva), meccanismo che comunque  non è stato eliminato e che permarrà  nei casi di approvazione bicamerale anche se, malauguratamente, il 4 dicembre prevarranno i sì. Dicevo prima, il vero problema, della lentezza legislativa, non sono i tempi di approvazione delle leggi, ma la mancata adozione dei decreti attuativi, che sono atti amministrativi, dunque assunti dai ministeri competenti, per permettere alla legge di produrre i suoi effetti, perché come sappiamo la legge ha una portata generale ed astratta, e per potere dispiegare effetti concreti necessita dei decreti di attuazione che sovente non vengono emanati e dunque la disposizione di legge rimane lettera morta.
  • Introduzione di plurimi procedimenti legislativi, famigerato art. 70 legge di riforma, era di tre righe ed è diventato un poema (bicameralismo, monocameralismo, partecipato, rinforzato, leggi di bilancio ed altre amenità), prevedibili contrasti tra le due Camere in ordine all’applicazione dei diversi procedimenti, conflitti da sciogliere da parte dei presidenti dei due organi, d’accordo.  E se non sono d’accordo? La norma tace sul punto, e male fa, perché  le Camere, per usare un eufemismo,non sono   circoli di gentiluomini inglesi, ma rispecchiano interessi e valori diversificati e stratificati secondo la loro articolata composizione. Dunque è  ipotizzabile, anche se come ho appena detto, nulla la norma dice sul punto, che per  dirimere  gli eventuali contrasti si debba ricorrere alla corte costituzionale  eccependo il conflitto di competenza, con notevole aggravio dei tempi di approvazione dei testi legislativi, altro che leggi razzo.
  • Garanzie ed efficienza: altra caratteristica forte della riforma è l’attribuzione di maggiori e più incisivi poteri al governo. Formalmente permane la centralità del parlamento, ma di fatto viene introdotto un premierato strisciante. Rappresentatività e garanzie sacrificate in nome dell’efficienza, confusione tra i valori che entrano in gioco quando si parla di democrazia che non può essere misurata in base all’efficienza, concetto di matrice economica, bensì in base all’efficacia, cioè per la forza che ha per raggiungere gli obbiettivi, in caso di democrazia, costruire il bene comune. Dunque la democrazia deve essere efficace e non efficiente, ed offrire le dovute garanzie  perché nessuno possa abusare del potere conferito, insomma occorre evitare la logica dell’uomo solo al comando che la riforma sembra voglia caldeggiare. Si pensi, al riguardo,alla teoria sviluppata da certa dottrina sul concetto, di nuda sovranità, già a costituzione vigente, ed a quello di democrazia dell’investitura che tende ad introdurre la riforma : i cittadini non votano più o quasi mai, sempre  più nominati.
  • Nuova ripartizione competenze tra Stato e Regioni: nel 2001 modifica titolo V della Costituzione sempre a maggioranza, sempre stesso partito. Secondo la Costituzione in vigore, quale risulta dalla revisione in senso “federalista” del 2001, tale criterio è il seguente. Lo Stato può legiferare su una serie di materie elencate nel testo costituzionale: criterio dei “poteri enumerati”. Su tutte le altre materie, cioè sulle materie non risultanti in quell’ elenco, possono invece legiferare soltanto le Regioni: criterio dei “poteri residui”.

Con la proposta riforma la competenza delle Regioni  è assottigliata a tal punto da ridurla, rispetto alla situazione attuale, a ben poca cosa.

In secondo luogo, la riforma prevede la cosiddetta “clausola di supremazia”. Il governo avrebbe facoltà di dichiarare, in relazione all’ una o all’ altra delle materie che sono riservate alla competenza legislativa regionale, la sussistenza di un interesse nazionale o di unità dell’ ordinamento. Quando ciò avvenga, lo Stato può legiferare anche in ambito regionale. Questo significa riconoscere un eminente dominio dello Stato sull’ intero campo della legislazione e un ruolo nettamente subalterno delle Regioni rispetto allo Stato.

In tal modo la distanza tra i cittadini e il potere aumenterebbe enormemente, tenuto conto anche della concomitante abolizione delle Provincie. La democrazia in prospettiva sarebbe destinata a “dimagrire”, e non di poco.

Inoltre si consideri che la riforma si applica immediatamente solo alle regioni a statuto ordinario ,e non a quelle a statuto speciale provocando l’effetto agghiacciante di avere contemporaneamente in vigore due testi della costituzione,in caso di approvazione della riforma,quella vigente e quella riformata a seconda che i destinatari siano le regioni a statuto ordinario o quelle a statuto speciale.

  • Quorum elezione Presidente della Repubblica e riflessi su composizione Corte Costituzionale: dal settimo scrutinio in poi per elezione del Presidente della Repubblica occorre il quorum dei 3/5 dei votanti. Prima occorreva la maggioranza degli aventi diritto. Dai calcoli matematici effettuati in linea teorica bastano 221 elettori per nominare il presidente della Repubblica. Con  l’Italicum , alla Camera per effetto del premio di maggioranza , 340 deputati vanno alla lista vincente : ecco realizzata la democrazia dell’investitura, un uomo solo al comando,ma che  non funziona in democrazia, dove  la logica dell’uomo solo al comando sarebbe pericolosissima oltre che contraddire in maniera veemente l’ assetto delineato dalla vigente costituzione. Si andrebbe configurando una democrazia dell’investitura, come è stata definita in dottrina o, come l’ho definita io, una democrazia del biliardo, nel senso che chi prevale alle elezioni politiche fa filotto, prende tutto: presidente del consiglio dei ministri, presidente della repubblica, 5 giudici della corte costituzionale ( quelli di nomina da parte del Presidente della Repubblica).

Conclusioni : una metafora. La costituzione può essere paragonata ad un orologio. L’orologio deve battere il tempo con precisione. All’interno della cassa dell’orologio c’è un meccanismo di pesi e contrappesi, assimilabile  a quello contenuto all’interno di una Costituzione. Quando si modificano i meccanismi, si altera l’equilibrio tra pesi e contrappesi bisogna stare ben attenti perché l’orologio  potrebbe sfasarsi e non funzionare come dovrebbe. Nel caso di  guasto all’orologio, questo si butta e poco male, ma nel caso di guasto alla costituzione  si butta all’aria tutto un sistema politico, sociale ed economico con danni irreparabili. Votare sì il 4 dicembre potrebbe produrre effetti molto dannosi per il nostro Paese. Pensiero finale: il mantra che viene declinato in tutte le salse  è che chi vota “sì” è innovatore, chi vota “no” è un bieco difensore della casta.  Mi permetto di dissentire ed asserire che le cose non stanno propriamente così: perché ci sono i no che servono, che fanno crescere, maturare, che sono il baluardo della civiltà. Un esempio dell’una e dell’altra specie. Prima specie: i no dei genitori ai figli che vengono dispensati per il loro bene, sono frutto di amore e di altruismo. Seconda specie: l’art. 11 della nostra costituzione, quella vigente, il no alla guerra il ripudio della stessa. No qualificanti, che nobilitano chi li esprime. Ed aggiungo che  in una società dai connotati sempre più servili, quali quelli che stanno caratterizzando la nostra, è senza dubbio più comodo dire sì per ottenere qualcosa, per non  rischiare  di essere esclusi, essere messi da parte. Dire di sì può essere più conveniente, ma non più giusto, la cosa giusta da fare. Insomma ci vuole coraggio per dire no, per difendere gli ideali, contro chi  detiene il potere, ma è la cosa più giusta ed il 4 dicembre per me è la cosa da fare.