E’ ormai entrato nel vivo il processo per stabilire il responsabile (o i responsabili) della morte di Samanta Fava, la 37enne sorana ritrovata murata all’interno di una casa di Fontechiari, dopo diversi mesi dalla sua scomparsa. Unico imputato alla sbarra, per il momento, Tonino Cianfarani. Nel corso dell’udienza andata in scena ieri presso la Corte d’Assise di Cassino, durata sette ore, sono state ascoltate numerose testimonianze, nel tentativo di acquisire elementi utili a riscostruire le ultime ore di vita della donna.
Tra le testimonianze, quella di Maurizio Gabriele, ex marito di Samanta, che ha raccontato quanto lei fosse legata al loro figlio. Interessante, inoltre, è stato l’intervento di un’amica dell’imputato, che ha detto di aver ricevuto da lui una telefonata (sembrerebbe dal cellulare della vittima), proprio nella notte tra il 3 e 4 aprile 2012, nella quale si era dimostrato piuttosto agitato e confuso. Nel corso del dibattimento si è anche tornati a parlare di versioni alternative a quella prospettata dall’accusa (come l’ipotesi che la donna sia stata investita) sulle quali, ha affermato il difensore di Cianfarani, l’avvocato Ezio Tatangelo, andrebbero condotte indagini molto più approfondite.
E’ stata l’ultima testimonianza della giornata, tuttavia, ad apportare un nuovo elemento di valutazione: un agente di polizia ha raccolto un’intercettazione ambientale di un colloquio avvenuto in carcere tra Cianfarani e sua madre. In quell’occasione, l’imputato le parlò così: “A mà, quella mi è morta dentro casa”.
Tonino Cianfarani ha assistito a tutta la lunga udienza nella calma più assoluta, rimanendo costantemente impassibile. Il prossimo atto del processo è fissato per lunedì 24 marzo, quando verranno ascoltati i consulenti medico-legali dell’accusa.