“Per un passo avanti”
La vicenda edilizia della riqualificazione di Piazza Mayer Ross inizia con l’amministrazione Ganino e si conclude con quella Casinelli. Ad onor del vero si dovrebbe andare ancora più indietro e chiamare in causa l’amministrazione Di Stefano che, indubbiamente, ha creato i presupposti urbanistici per l’attivazione dell’intervento di riqualificazione prevedendo, nell’ambito del Piano di recupero del Centro storico della città la “liberazione del sito” occupato dall’ex Cinema Teatro Capitol realizzato tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio del decennio successivo; ad onor del vero si dovrebbe arrivare ad i giorni nostri con l’amministrazione Tersigni, che poco ha fatto per valorizzare l’opera.
Dell’ingombrante presenza – oltre 16000 metri cubi – che l’amministrazione del tempo non volle realizzare in un sito più adeguato proprio perché meno centrale e più accessibile, il primo progetto proposto, oggetto di ampio dibattito pubblico prevedeva la completa demolizione della preesistenza e la realizzazione di un insieme di elementi, aggregati intorno ad uno spazio pubblico coperto, ciascuno destinato ad attività diverse, tutte a carattere pubblico o collettivo.
Il dibattito portò alla completa revisione del progetto e i successivi ritrovamenti archeologici aprirono nuove prospettive: venne elaborata una nuova proposta che, sottoposta al parere delle Soprintendenze, venne accolta dall’amministrazione in carica ormai giunta a fine mandato.
Ingegnere prima ancora che Onorevole, Cesidio Casinelli insediatosi nella primavera del 2006 prese in mano la situazione e con estremo pragmatismo capì che, nonostante il ridimensionamento del progetto intervenuto a seguito dei ritrovamenti archeologici, i costi delle opere sarebbero andati molto oltre le disponibilità di bilancio e l’opera, così com’era stata progettata non sarebbe mai stata portata a termine.
Tra una serie di incertezze e notevoli complicazioni operative legate alla provenienza dei finanziamenti – uno a carattere regionale, l’altro europeo – e alla natura tecnico-formale del progetto, l’opera è stata ultimata nel 2010 e inaugurata appena dopo.
Degli oltre 16000 metri cubi del vecchio edificio ne sono stati riedificati poco più di 1500: una drastica riduzione delle volumetrie accompagnata da un accorta integrazione della nuova architettura al contesto che declina la sua sostenibilità anche attraverso l’impiego estensivo della pietra locale come rivestimento delle pareti esterne e delle pavimentazioni esterne ed interne. Un’architettura che, per chi conosce la storia del luogo sa che non occupa neppure un metro quadrato del vecchio orto dei minori conventuali ovvero della piazza pubblica realizzata appena dopo la realizzazione del nuovo collegamento viario – via Pasquale Fosca – previsto dal piano regolatore redatto pochi anni prima.
Molti in “paese” non gradiscono la sua presenza non avendone compreso fino in fondo le “ragioni”; alcuni da sempre l’hanno apprezzata; di certo l’hanno apprezzata quelli che, venuti da fuori, l’hanno vista e hanno partecipato alle numerosissime manifestazioni pubbliche, molte delle quali a carattere internazionale, che si sono succedute in questi anni nel piccolo auditorium nascosto dietro il “bianco muro” rivestito in pietra di Coreno. Insomma alle “lacrime” di molti si sono accompagnati i “sorrisi” di pochi.
E, come spesso capita, chi “abita altrove” si è accorto del suo valore e ha voluto attribuire ad essa una Menzione speciale all’interno di un premio internazionale bandito quest’anno dalla Cooperativa Produttori del Marmo Botticino di Botticino (BS).
La motivazione ben sintetizza il valore e il senso dell’opera: “le ragioni di attribuzione della menzione risiedono nel ruolo che il progettista affida alla pietra nell’ambito di un intervento che legge e reinterpreta la struttura urbana di un piccolo centro storico, ridefinendone il limite e i rapporti con una complessa orografia e tessendo in una nuova architettura il risarcimento di interventi impropri, la valorizzazione di elementi storici, la creazione di nuovi spazi e percorsi.”.
Messa a confronto con ben quaranta opere realizzate in tutta Europa questa è stata apprezzata più di altre. La città dovrebbe esserne fiera e superare i ristretti confini della diaspora politica a favore del riconoscimento del valore di un’opera di architettura che, ancora prima di essere premiata, era stata più volte pubblicata su riviste specializzate e su raccolte dedicate all’architettura italiana contemporanea.
L’augurio è che sia ultimata come il progetto prevedeva: con la sistemazione del verde rampicante sui muri a coprirne buona parte in modo da migliorarne l’integrazione ambientale attuata purtroppo solo in parte mediante la copertura a verde della sala polifunzionale; l’interdizione delle risalite al colle mediante elementi in cor-ten a disegno che riprendono la semplicità formale degli elementi metallici aggiunti, parte integrante dell’opera; la sistemazione dello spazio interstiziale tra la parete in vetro della sala e l’incisione della propaggine del colle funzionale alla realizzazione della torre scenica del cinema Capitol per favorirne l’uso che il progetto originario prevedeva anche di notte; la sistemazione del terrapieno soprastante appena iniziata e mai conclusa che consentirà una volta per tutte di salire alla chiesa di S. Antonio, come pure a quella della Madonna delle Grazie e, in ultimo, alla Rocca Sorella partendo da un altro punto di una città che la storia del Novecento, quella nostra, ci ha consegnato con tutte le sue “profonde ferite” lasciate in evidenza che quest’opera tende a rimarginare introiettandole perché tutta la cittadinanza compia un passo avanti verso una identità diversa e diversamente riconosciuta.