I fattori geopolitici, già protagonisti dello scorso anno, hanno caratterizzato gli ultimi dodici mesi con un crescente condizionamento sui fattori economici e con impatti settoriali significativamente asimmetrici. Tra i segnali più positivi su scala nazionale, va contabilizzata la decisa ripresa delle presenze turistiche, trainate dalla componente straniera; tuttavia, permangono le incertezze dei segmenti industriali, del comparto agricolo, i cui volumi produttivi sono stati fortemente penalizzati dagli effetti climatici, nonché delle attività commerciali, queste ultime maggiormente penalizzate dalla debolezza della domanda di beni di consumo.
Il rientro dei corsi inflattivi ha favorito il modesto recupero dei consumi delle famiglie, alimentati dalla minore propensione al risparmio; mentre le imprese hanno fatto ricorso alle proprie disponibilità liquide prevalentemente per la gestione corrente, con il conseguente ulteriore contenimento della domanda di investimenti fissi, risultando le condizioni di accesso al credito fortemente deteriorate in ragione della politica monetaria restrittiva della BCE.
Le crescenti tensioni sui diversi fronti che si sono sovrapposti al conflitto russo-ucraino, con l’escalation nell’area del Medio Oriente e la conseguente crisi nel Mar Rosso, hanno contribuito ad accentuare l’incertezza previsiva degli scenari, come dimostrano le attese di peggioramento di principali indicatori economici in chiusura d’anno.
I segnali indiscutibili del raffreddamento dell’iniziativa imprenditoriale e il contestuale ritorno alla crescita delle cessazioni, seppur marcatamente asimmetrico nei settori più tradizionali (nell’ordine per saldi negativi il commercio, l’agricoltura e l’industria), sono le determinanti principali di turnover delle attività d’impresa inevitabilmente più lento.
Gli esiti algebrici su scala nazionale restituiscono 42 mila unità aggiuntive, in rallentamento rispetto alle risultanze dello scorso anno (48 mila imprese in più, -12,5% sul 2022).
L’evidenza del raffreddamento del turnover imprenditoriale è data dalla sostanziale stazionarietà del contributo delle iscrizioni, pari ad oltre 312 mila, che si confermano pressoché in linea con il valore precedente confermando la minore verve in serie storica (-9,6% rispetto alla media del decennio precedente) e dal recupero congiunturale delle cessazioni. Queste ultime, comunque, si mantengono anch’esse su valori più contenuti in serie storica (-12% rispetto alla media del decennio precedente).
Nella graduatoria regionale per tasso di crescita, il Lazio si colloca in pole position (+1,59% il relativo tasso, a fronte del +0,70% nazionale), allungando ulteriormente la distanza rispetto alle regioni immediatamente seguenti (Lombardia, Campania e Trentino Alto Adige).
Il bilancio nei territori di Frosinone e Latina è positivo per 939 imprese (a fronte delle 1.154 aggiuntive dello scorso anno, -20% in termini relativi); la performance più contenuta è determinata dal più significativo rallentamento del frusinate, per effetto della più evidente accelerazione delle cessazioni (+8%).
In termini di confronto intersettoriale, si conferma la maggiore vivacità dell’edilizia, sebbene si ridimensioni significativamente a tutti i livelli territoriali, in ragione delle perduranti incertezze normative connesse ai bonus e alle peggiorate condizioni di approvvigionamento, che hanno determinato frizioni nelle revisioni dei prezzi dei lavori. Ulteriore comune denominatore, l’accelerazione del segmento ricettivo, che beneficia del miglioramento dei flussi di turisti.
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