Lo sviluppo capitalistico dei paesi protestanti.
Negli ultimi secoli le nazioni protestanti dell’Europa e dell’America hanno mostrato un dinamismo economico di tipo capitalistico superiore rispetto ai paesi cattolici.
Questa partecipazione minoritaria dei cattolici alla moderna attività economica è legata forse dal maggiore distacco dal mondo del cattolicesimo? In realtà anche il protestantesimo era decisamente contrario al piacere mondano. Negli scritti di Benjamin Franklin lo spirito del capitalismo risuona nella maniera più chiara: “il tempo è denaro”, “il credito è denaro”, “il denaro ha una natura feconda e fruttuosa”, “chi paga puntualmente è il padrone della borsa di tutti”. Questa è una vera e propria “filosofia dell’avarizia” in cui Franklin delinea l’ideale dell’uomo onesto degno di credito e soprattutto in cui primeggia l’idea che l’individuo sia moralmente tenuto ad accrescere il proprio capitale.
Tuttavia il fine di questa etica – guadagnare sempre più denaro evitando rigorosamente ogni piacere spontaneo – è così privo di ogni carattere edonistico, è pensato come fine a sé stesso con tanta purezza, da trascendere la felicità o l’utilità del singolo individuo.
L’ascesi capitalistica.
Marxianamente non si puà sostenere che questo lo spirito capitalistico rispecchi a livello culturale la struttura economica sottostante. Ciò detto come si potrebbe spiegare il fatto che nel cuore dello sviluppo capitalistico medievale, nella Firenze del XIV e XV secolo, fosse ritenuto moralmente increscioso o al massimo tollerabile ciò che invece era considerato eticamente lodevole, anzi doveroso, nel mondo rustico e piccolo-borghese della Pennsylvania di Franklin del XVIII secolo? Società dove non c’erano tracce di imprese industriali e di banche di una certa entità e dove la carenza di denaro costringeva spesso al baratto in natura?
La brama di denaro è vecchia come la storia dell’umanità che noi conosciamo. Il guadagno senza scrupoli, non vincolato da nessuna norma morale, c’è stato in tutti i tempi della storia, dovunque e comunque fosse effettivamente possibile. Questo modo di vivere, in cui l’uomo è in funzione e al servizio dei suoi affari e non viceversa, può apparire del tutto irrazionale. Per l’uomo precapitalistico l’idea che lo scopo della vita consista nello scendere nella tomba carichi di denaro e di beni è inconcepibile, e gli pare spiegabile solo come prodotto di impulsi perversi. Com’è potuto accadere che un atteggiamento nei confronti del lavoro e del guadagno nel miglior dei casi tollerato diventasse addirittura una “vocazione” dal carattere ascetico?
Le conseguenze non volute della Riforma Protestante.
L’autorità della Bibbia, da cui Lutero credeva di trarre il concetto di Beruf (lavoro), lo portava ad adottare un atteggiamento tradizionalistico. I passi dell’Antico e del Nuovo Testamento che trattano di questioni economiche contengono infatti un messaggio di questo tipo: ciascuno si accontenti del suo sostentamento, e lasci che gli empi cerchino di guadagnare. Con Lutero dunque il concetto di vocazione rimase legato all’economia tradizionale, non a quella capitalistica. Fa riferimento alla posizione sociale che l’uomo deve accettare o a cui si deve adattare.
Il dogma più caratteristico del calvinismo è la dottrina della predestinazione degli eletti, secondo cui per grazia divina una parte degli uomini diventano beati, mentre gli altri restano dannati. Supporre che il merito o la colpa umani possano modificare questo destino significherebbe ritenere che le decisioni di Dio, assolutamente libere e stabilite fin dall’eternità, possano essere cambiare da influenze umane.
Come può allora un uomo sapere se fa parte della schiera dei beati o di quella dei dannati? Il calvinista si trova in uno stato di isolamento interiore, perché nessuno può aiutarlo: né un predicatore, né un sacerdote, né un sacramento. Per conquistare la certezza della propria predestinazione, il riformato deve individuare i segni della grazia divina nella propria condotta di vita, tutta orientata all’accrescimento della gloria di Dio.
Ascesi e spirito capitalistico.
Questo atteggiamento si ritrova particolarmente negli scritti del puritano Richard Baxter, il quale predica appassionatamente il lavoro fisico o mentale duro e continuo: il lavoro, afferma Baxter, è lo scopo della vita prescritto da Dio. Il ricco possidente, ugualmente, deve lavorare, perché l’avversione al lavoro è sintomo dell’assenza dello stato di grazia.
La massima paolina “chi non lavora non deve mangiare” vale incondizionatamente per tutti, chi chiede l’elemosina mentre è in grado di lavorare non solo commette il peccato della pigrizia, ma si comporta anche contro l’amore del prossimo. Il massimo guadagno è un dovere da perseguire con il lavoro, la ricchezza diventa pericolosa solo come tentazione di adagiarsi nell’ozio e di godersi la vita con il peccato.
L’ascesi protestante agì contro il godimento spensierato del possesso e restrinse il consumo, specialmente quello di lusso. Ebbe quindi l’effetto psicologico di liberare l’attività lucrativa dalle inibizioni dell’etica tradizionalistica e spezzò le catene che legavano la ricerca del guadagno, in quanto non solo lo legalizzò, ma impose il dovere di conservarlo e di aumentarlo con il lavoro indefesso, perché Dio chiederà il rendiconto di ogni centesimo affidato.
Sul piano economico la restrizione del consumo e lo scatenarsi dell’attività lucrativa favorirono l’accumulo del capitale e la produttività del lavoro. Era sorta così un’etica professionale specificamente borghese, perchè con la coscienza di godere pienamente della grazia di Dio e di essere visibilmente benedetto da Lui, l’imprenditore borghese poteva perseguire i suoi interessi lucrativi, e anzi doveva farlo, a condizione di vivere in maniera eticamente ineccepibile e di non fare un uso scandaloso delle proprie ricchezze.
Cenni biografici
Karl Emil Maximilian “Max” Weber (1864-1920) nacque il 21 aprile 1864 a Erfurt, in Sassonia nel Regno di Prussia. Visse in un’ambiente intellettualmente stimolante visto che la sua era una colta famiglia borghese. Casa sua era frequentata da uomini politici e da importanti personalità accademiche, come Wilhelm Dilthey un noto filosofo e Theodor Mommsen uno dei più grandi classicisti della sua epoca. Weber si dedicò precocemente a letteratura e filosofia.
Quando cominciò gli studi universitari a Berlino poteva contare già di un solido bagaglio culturale. Cominciò la carriera accademica subito dopo avere conseguito, nel 1891, la libera docenza, dando prova di una grande erudizione e di una profonda passione politica nazionalista. Nel 1897 un durissimo scontro con il padre, che morì un mese dopo, lo fece cadere in una forte depressione. Per ben cinque anni fu preda del disturbo mentale che lo costrinse ad abbandonare l’insegnamento. Solo nel 1903 Weber riprese la sua attività di scrittore e ricercatore.
Nel 1910 fondò con Ferdinand Tonnies e Georg Simmel, la società tedesca di Sociologia.
Durante la prima guerra mondiale, prestò servizio come direttore di ospedali militari. Al termine del conflitto fu tra i delegati dalla Germania a Versailles per la firma del trattato di pace, e partecipò come consulente alla stesura della Costituzione della Repubblica di Weimar.
Tornò all’insegnamento di Economia, prima a Vienna e nel 1919 a Monaco di Baviera. Morì in questa città il 14 giugno 1920, a 56 anni, colpito dalla grande epidemia dell’influenza spagnola. Lasciò incompiuta la sua opera maggiore, Economia e Società.
Max Weber è ricordato per “” il titolo originale: Die Protestantische Ethik un der Geist des Kapitalismus