di Jacopo Marzano
La lettera apostolica “Catholica Ecclesia” di Paolo VI stabilisce che “le abbazie non dipendenti da alcuna diocesi, attualmente esistenti, siano più idoneamente definite quanto al territorio, secondo le norme stabilite dal Concilio Ecumenico Vaticano II”.
La chiave di volta è rappresentata dall’avverbio “idoneamente”, di cui si può cogliere il senso, in modo più chiaro, avvalendosi di un suo sinonimo, “opportunamente”, il cui significato essenziale, è reperibile nella radice da cui deriva: il latino portus con il prefisso ob che significa che spinge verso il porto.
Qual è il “porto” verso cui l’aggiornamento proposto da Paolo VI si proponeva di traghettare gli uomini e le donne di buona volontà?
La risposta viene consegnata dai padri conciliari alle pagine del decreto sulla missione pastorale dei vescovi nella Chiesa “Christus dominus”: l’inconfutabile necessità di revisionare i confini e il numero delle diocesi avrebbe dovuto soggiacere a due valori indiscutibili e invalicabili: il “bene delle anime” e “l’unità organica della diocesi”.
La perspicacia dei padri conciliari si rivelò anche nell’indicare il modo con il quale un’opera tanto complessa, toccando fattori umani di varia natura, avrebbe dovuto essere condotta: “prudentemente”, con atteggiamento cauto ed equilibrato.
Le conseguenze sfavorevoli dell’assegnazione del territorio dell’Abbazia di Montecassino alla ex diocesi di Sora – Aquino – Pontecorvo, con la nascita della nuova diocesi di Sora – Cassino – Aquino – Pontecorvo, avrebbero potuto essere previste se fossero stati presi in considerazione quei principi, che, il decreto “Christus Dominus”, definisce criteri generali, ma che sono, in primis, norme dettate dal buon senso: le “particolari condizioni psicologiche, economiche, geografiche e storiche delle persone e dei luoghi” che, purtroppo, nel disegnare i confini della nuova diocesi, sono state sottovalutate o valutate con poca premura.
Le condizioni storiche hanno contribuito a plasmare due culture eccezionali, “espressioni dell’anima umana e dell’ambiente”: quella dell’ex diocesi di Montecassino e in particolar di Cassino, che, riconoscendo in San Benedetto il granello di senapa da cui è germogliata, come un albero, la fede in Cristo Gesù, per ben due millenni ha visto intrecciarsi, gli eventi della comunità civile con quelli della comunità monastica, radicando, nella cultura benedettina e nella figura dell’Abate, la speranza di essere guidati in una vita santa e operosa nella carità; quella della ex diocesi di Sora – Aquino – Pontecorvo e, in particolar modo di Sora che – prendendo in prestito le parole di Crescenzo Marsella – “delle tre diocesi riunite è la più antica, anzi deve annoverarsi tra le più antiche d’Italia, forse di origine apostolica, più probabilmente appartenente all’ultimo scorcio del secondo secolo o alla prima metà del terzo. Consacrata dai primi fiori del martirio cristiano con il sangue di Giuliano (138 – 161 d. C.) e Restituta (270 – 275 d.C.), fu visitata da parecchi papi, diede alla Chiesa il papa Paolo III, il grande pontefice che aprì il Concilio di Trento e che fu amministratore della diocesi di Sora.
Fra i numerosi suoi vescovi parecchi furono elevati alla sacra porpora o a grandi onori: Corrado conte di Wittelsbach, Pietro Guerra, Ignazio Persico. Degno di speciale ricordo è pure il cardinal Alessandro Farnese che fu amministratore di Sora per vari anni, nipote di Paolo III”.
Non può passare inosservato l’onore che la Divina Provvidenza volle riservare alla città di Sora predestinandola a dare i natali al venerabile cardinale Cesare Baronio, autore dei primi volumi degli Annales ecclesiastici e della revisione del Martirologio Romano, per ben due volte vicino ad essere elevato al Soglio di Pietro: elezione da lui stesso scongiurata in nome di quella umiltà appresa dalla scuola di San Filippo Neri.
L’unione della comunità cristiana cattolica del cassinate alla ex diocesi di Sora – Aquino – Pontecorvo è uno sradicamento culturale e un innesto malriuscito e lo sforzo di voler far convivere questi due “giganti culturali” sotto un’unica tenda – per quanto larga essa sia – è utopia: il risultato finale – già in parte visibile – sarà la fagocitosi del più debole da parte del più forte.
Anche le condizioni psicologiche ed economiche del popolo sorano sono state completamente ignorate: nel corso degli ultimi cinquant’anni Sora è stata costretta a camminare come un gambero, perdendo la facoltà di Medicina e Chirurgia, il Tribunale, gli ambulatori del distretto sanitario, subendo un ingente depotenziamento dell’Ospedale Civile, ed ora, come se non bastasse, già provata psicologicamente ed economicamente, dovrebbe accettare l’ennesima usurpazione: dopo secoli di indefettibile devozione alla Chiesa Cattolica, la nostra città assumerebbe un ruolo di secondo piano nella vita diocesana e, nella peggiore delle ipotesi, subirebbe, il trasferimento della sede episcopale in quel di Cassino.
Sarebbe l’ultima picconata che abbatte un muro portante della storia di Sora, il cui popolo, secondo il progetto dei burocrati ecclesiastici, dovrebbe tacere e obbedire, umiliando il proprio pensiero critico, imbrigliando il suo carattere sociale e accettando di perdere un elemento fondamentale della sua identità storico-culturale.
Infine le condizioni geografiche: perché non si è lasciata la città di Cassino al governo spirituale dell’Abbazia di Montecassino – visto che il Motu proprio di Paolo VI invita a definire in maniera più idonea il territorio delle abbazie territoriali e non ad abolirlo, sic et simpliciter – redistribuendo i restanti comuni tra la ex Diocesi di Sora – Aquino – Pontecorvo e la Diocesi di Gaeta?
Evidentemente, questa nuova sistemazione persegue obiettivi alquanto diversi dal “bene delle anime” e “dall’unità organica della diocesi”, per cui – da cristiano cattolico e da cittadino sorano – non ci sto.
Mi auguro che mons. Gerardo Antonazzo, come ha dato il “suo contributo deciso e determinato per cambiare la denominazione della diocesi con l’aggiunta di Cassino, perché non giusto per la storia cancellare del tutto il nome di Cassino” (Intervista rilasciata a Sora Web il 27 Novembre 2014), così sia animato dallo stesso rispetto e dalla stessa determinazione nel custodire e conservare anche la storia del popolo sorano, essendo, la sede episcopale, formalmente e sostanzialmente, patrimonio storico della città di Sora.
Non smetterò di sperare che il silenzio dell’amministrazione comunale, dei consiglieri e dei politici locali sia riempito dalla voce di ciascun sorano: siate, nonostante tutto, protagonisti della vita della città e non spettatori; esprimete con coraggio il vostro pensiero, soprattutto se in dissenso; agite non in nome della collera, dello smarrimento, della delusione, dell’invidia, dell’odio, della paura, dell’autoaffermazione, dell’interesse personale, ma solo e soltanto per difendere il bene comune, che, trascende noi stessi.