La rubrica “Le pieghe dell’anima: luci ed ombre della mente”, a cura di Pamela Rotondi, Dott.ssa in Scienze dell’Investigazione, ospita oggi un’analisi della psicologia del terrorismo, sulla scorta di quanto accaduto a Parigi.
“ Ci sono due tipi di terrore, buono e cattivo. Quello che pratichiamo noi è terrore buono. Non cesseremo di uccidere loro e chiunque li appoggi”.
Osama bin Laden
L’attacco terroristico al giornale parigino Charlie Hebdo ha riportato a galla sensazioni e vissuti che erano rimasti sopiti dal lontano 11 settembre. Il terrorismo ha come obiettivo finale quello di incutere emozioni negative come il terrore, l’angoscia e inibire i comportamenti quotidiani attraverso la suggestione della paura.
Parigi ha dimostrato come gli esecutori materiali di tali logiche perverse siano “ragazzi come tanti”, figli di immigrati cresciuti in una Nazione che ha accolto i propri genitori scampati da guerre, carestie e regimi dittatoriali che ne limitano la libertà di espressione, di religione o di culto. I figli di seconda generazione non appartengono più alla terra natìa dei propri genitori, ma non si sentono nemmeno di appartenere a quei luoghi che hanno offerto loro la possibilità di scegliere. Quindi la loro identità si trova ad essere divisa tra il retaggio genitoriale e la cultura dominante del paese di accoglienza. L’identità, intesa come consapevolezza di Sé, deve contrastare due strategie difensive opposte: assimilazione alla cultura dominante o rifiuto di quest’ultima, con la volontà di riscoprire le proprie radici. Ed è in questa terra di mezzo, in questa sorta di limbo, che si insinua il fanatismo e l’ideologia che sta alla base del terrorismo di matrice religiosa.
Si tratta di giovani uomini di età compresa tra i 20 e i 30 anni, dotati di quella rapidità di movimenti che li rende adatti alle azioni terroristiche, con un livello culturale medio basso, una famiglia molto solida ed unita alle spalle e la pericolosa tendenza al fanatismo. Un soggiorno in zone in mano ad organizzazioni terroristiche favorisce una chiusura ed un isolamento rispetto alla realtà, alimenta dichiarazioni farneticanti, portatrici di un’ideologia religiosa votata al più sfrenato estremismo e chiusura, che porta troppe volte a far coincidere la Sharia con la Guerra Santa.
Francesco Bruno, stimato criminologo, in un’intervista, afferma che questi ragazzi ammaliati da una cultura che affida soltanto alla religione il proprio riscatto e la propria identità, generalmente, hanno sofferto nella loro vita di un episodio tragico che li ha colpiti (tragica perdita di un familiare o di un conoscente) e hanno introiettato un senso di colpa per essere rimasti in vita; contemporaneamente, hanno formato la propria coscienza, attraverso un indottrinamento speciale, che si esplicita con l’autosacrificio. Tramite quest’ultimo, sperimentano la possibilità di sentirsi per la prima volta capaci di fare un danno serio al nemico, un danno che non può essere ignorato.
Il gruppo terrorista, da un punto di vista psicodinamico e analitico, è il sostituto illusionistico di un oggetto perso precocemente, inteso come perdita di una figura di autorità. Dunque, la fusione con il sentimento di gruppo stimola il Sé. Alla domanda “Chi sono?” si sostituisce la domanda “A chi appartengo?” . Per queste persone, il mondo è caratterizzato da una grande unità simbiotica e, dall’altra, la scissione sostiene la visione di un mondo di rivalità, competizione e pluralità. Per questi soggetti, l’ideologia del gruppo definisce ciò che per loro è bene o male e le loro norme sostituiscono il Super-Io individuale, che si annulla.
In che modo si estrinseca la natura umana se non nel bisogno di affiliazione e di appartenenza, il cui scopo del primo corrisponde alla necessità di creare una condizione di vicinanza con altre persone e di ricercare l’appartenenza a un gruppo? La vicinanza dell’altro avrebbe lo scopo di ridurre l’ansietà e di confrontare le proprie emozioni. Appartenenza e amore sono bisogni legati alla relazione con i genitori e con la famiglia di origine.
In un mondo in cui identità e società sono in connessione continua, in cui la globalizzazione ha reso i confini geografici e liquidi, bisogna riflettere su come la paura del diverso, del non-compreso possa creare uomini e donne in grado di farsi saltare in aria o sparare su una folla inerme reputandosi portatori di una verità assoluta che rende liberi e conduce alla vita eterna.