di Stefano Di Palma
Il mistero della morte che insieme a quello della nascita accomuna ogni individuo sulla terra indipendentemente dal proprio genere e dalla propria identità ed estrazione sociale è stato oggetto di celebrazione tra i viventi in tutte le civiltà antiche. La complessità e lo sviluppo dell’argomento, la genesi e la geografia dei riti, la risposta data dalle religioni e le credenze lo rendono un tema di particolare interesse.
Uno degli esempi meritevole di una speciale menzione è fornito dal mondo romano dove la festività in onore dei defunti della famiglia si svolgeva a febbraio dal 13 al 21 del mese e veniva chiamata “Parentalia”. Il culto dei morti, sempre in ambito romano, prendeva le mosse a partire dal funerale del deceduto, come ci attesta l’esempio più clamoroso, ovvero quello delle esequie degli anziani magistrati ai quali era riservato il privilegio dell’impronta di cera presa sul viso subito dopo la morte; la famiglia conservava in casa queste maschere di cera (alle quali si aggiungevano le maschere degli antenati della famiglia della sposa in caso di matrimonio) che venivano indossate da attori che impersonavano i vari personaggi durante il corteo funebre dell’estinto.
Uno dei tratti comuni a tutti i popoli civili è stata la sensibilità e la sollecitudine dei vivi verso la tomba dei loro cari scomparsi; tale premura si deve non solo ad un sentimento affettivo ma anche alla credenza che la morte non segnasse il totale annullamento fisico della persona almeno fino al disfacimento del corpo. In relazione a questo bisogno, in antichità, si compivano manifestazioni a favore del defunto, sopravvissute sotto forma di offerta: i romani versavano latte e vino sulla terra del sepolcro, immettevano alimenti all’interno mediante un foro o un tubo e recitavano formule varie.
Da queste consuetudini pagane, derivano le analoghe manifestazioni cristiane tra le quali spicca, nei primi secoli in cui si afferma questa religione, il rito del “Refrigerio” ovvero l’azione di rinfrescare l’anima del defunto mediante l’offerta di un pasto o una libagione compiuta dai vivi sul luogo di sepoltura. Tale azione che in ambito cristiano si definisce “agape”, come ci trasmette Tertulliano, rivela ulteriormente l’opera trasformatrice del Cristianesimo: non occasione di gozzoviglie, bensì segno di devozione verso i martiri, manifestazione di affetto verso i defunti, opera di carità verso i poveri e le vedove.
Nel periodo medievale, la commemorazione dei defunti da parte della Chiesa trova una più compiuta attuazione liturgica nell’operato dell’abate Odilone di Cluny a partire dal 998 per poi estendersi in tutta la Chiesa Cattolica a partire dal secolo XIV.
Una simile spinta e riconoscimento ecclesiastico ha mostrato numerose ricadute nel corso del tempo dove la gestione religiosa della morte ha comportato da una parte la risposta solidale che inserisce il defunto in un ricongiungimento con il Divino, mentre dall’altra parte ha creato una base economica e di controllo non troppo edificante basata sul concetto di “suffragio” o “salvezza dell’anima”. In ogni parte del mondo sono numerose le tradizioni collegate al 2 novembre. Una consuetudine è quella di visitare i cimiteri locali e portare in dono fiori sulle tombe dei propri cari.
Ad un “ritorno” degli estinti nelle proprie abitazioni, si collegano usanze italiane legate alla notte che precede il giorno dei morti, come accadeva ad esempio nella zona del monte Argentario dove si mettevano delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini defunti perché si pensava che, nella notte del 2 novembre, le loro anime tornassero in mezzo ai vivi.
Una simile credenza trovava affermazione anche a Sora dove fino a qualche decennio fa nella Cappella della Madonna della Neve, ubicata all’inizio del viale intitolato ai Passionisti, si accendevano numerose candele nel centro dello spazio sacro e si lasciava la porta principale aperta dalla sera del 1 novembre fino alla mattina del giorno seguente perché, come tramandavano gli anziani assecondando il tentativo di una possibile e breve conciliazione tra mondo dei vivi e quello dei defunti, passava la notturna “processione dei morti”.