Sembra non avere fine l’esodo migratorio dai Paesi dall’Africa al nostro Paese e sembrano non aver fine nemmeno le numerose stragi di migranti dispersi o deceduti nel Mar Mediterraneo. Nonostante l’operazione Frontex ed i conseguenti salvataggi in mare di uomini, donne e bambini, il numero delle vittime del cimitero Mediterraneo continua ad aumentare. A nulla è servita l’immagine del piccolo Aylan, fotografato morto sulle spiagge di Bodrum in Turchia lo scorso anno, dopo esser affogato durante il viaggio dalla Siria.
Un senso di indignazione e di impotenza scattò in ognuno di noi, ma – come tutti i fenomeni portati alla ribalta dai mass media – oggi siamo tutti Aylan, domani tutti Charlie Hebdo ma poi, di fondo, ognuno continua a condurre la propria vita come nulla fosse mai accaduto.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) – in un documento sul sito ufficiale dell’UNHCR – stima che siano 4.176 le persone morte o disperse nel Mediterraneo dopo la morte di Alan. In media, 11 tra uomini, donne e bambini sono morti ogni giorno negli ultimi dodici mesi.
Nei primi otto mesi del 2016 circa 281.740 persone hanno tentato la pericolosa traversata in mare verso l’Europa. Il numero di rifugiati e migranti in arrivo in Grecia è considerevolmente diminuito, a seguito dell’attuazione dell’accordo tra Unione Europea e Turchia e della chiusura della cosiddetta rotta balcanica, passando dagli oltre 67.000 arrivi di gennaio ai 3.437 di agosto. Il numero di arrivi in Italia è rimasto sostanzialmente stabile, con circa 115.000 rifugiati e migranti sbarcati nel paese alla fine di agosto, in linea con i 116.000 arrivi registrati nello stesso periodo dello scorso anno.
Il cambiamento principale – si legge ancora nel documento – riguarda il numero delle vittime. Dall’inizio del 2016, una persona ogni 42 che hanno tentato la traversata dal Nord Africa verso l’Italia ha perso la vita, rispetto al dato di 1 ogni 52 dello scorso anno. A fronte di questi dati, il 2016 risulta ad oggi l’anno col tasso di mortalità più alto mai registrato nel Mediterraneo centrale. Le probabilità di perdere la vita lungo la rotta che dalla Libia porta all’Italia sono dieci volte superiori a quelle che si corrono tentando la traversata dalla Turchia alla Grecia.
A seguito della morte del piccolo Aylan, la Germania fu uno dei paesi ad aprire senza timore le proprie frontiere tanto da accogliere più di un milione di profughi provenienti dalla rotta balcanica.
Numeri che messi a confronto con quelli degli arrivi in Italia sono zero.
Nel 2016, tra il 1 gennaio 2016 ed il 31 Agosto 2016 sono sbarcati in Italia circa 281.740 migranti. I numeri – tra l’altro – indicano che, rispetto allo scorso anno, i migranti giunti vivi sulle coste italiane è addirittura inferiore rispetto a quanto registrato lo scorso anno, lo stesso periodo, quando giunsero in Italia circa 356.000 persone.
Oggi, sono oltre 145mila i migranti ospitati in italia. Un record se si pensa che, nel 2015, sono stati 103mila scrive Repubblica.it che pubblica dati riguardanti l’accoglienza. Sono 145.900 i migranti ospitati sul territorio al 30 agosto (in tutto il 2015 erano stati 103.792). La maggioranza (111.061) è alloggiata nelle strutture temporanee presenti nelle varie regioni. A fare di più, Lombardia (oltre 19mila migranti ospitati), Sicilia, Lazio, Veneto. Ultima la Valle d’Aosta con 312 posti messi a disposizione.
E’ quindi evidente che non dovrebbero essere i numeri a spaventarci, ma bensì il modo in cui il sistema d’accoglienza è strutturato, il quale – a causa di vecchie leggi non ancora riformulate riguardo le procedure di accettazione dei vari status richiesti -rimane ostaggio di un sistema che così com’è non è in grado di integrare queste persone in maniera efficace.
Forse, è proprio qui che bisognerebbe migliorare poiché, a fronte di rari casi di immigrati che riescono ad inserirsi socialmente ed in ambito lavorativo, sono troppi i migranti che, una volta giunti nel nostro Paese, oltre alla possibilità di vedersi garantiti vitto e alloggio provvisoriamente, non riescono a far parte a quel processo di integrazione che se solo fosse strutturato in maniera più efficiente riuscirebbe senza dubbio a creare maggiori opportunità per il Paese intero, perché ricordiamo l’immigrato che rimane in Italia è per il Paese fonte di “ricchezza”: se e quando troverà un lavoro – ammesso che non sia per mano di clan mafiosi che accaparrano queste persone per qualche spiccio – l’immigrato pagherà le tasse nel nostro Paese, probabilmente crescerà una famiglia e, comunque, tutto ciò di cui dispone chiaramente viene comunque investito nel nostro Paese.
Alessio Donfrancesco