Il Velo di Maya

IL VELO DI MAYA – SAPER GUARDARE NEGLI OCCHI IL DESTINO DEL PROPRIO TEMPO

di Maria Caterina De Blasis

«È il destino dell’epoca nostra, con la sua caratteristica razionalizzazione e intellettualizzazione, soprattutto con il disincantamento del mondo, che proprio i valori supremi e sublimi siano divenuti estranei al gran pubblico per rifugiarsi nella sfera extramondana della vita mistica o nella fraternità dei rapporti immediati e diretti tra i singoli». (M. Weber, La scienza come professione, 1919, tr. A. Gentile).   

Il mondo di Weber si è spopolato di dei e di forze magiche per essere il palcoscenico dell’agire umano interamente razionale. Si è liberato dalla metafisica e dalla teologia per lasciare spazio a scienza e tecnica. Il movimento però non appare come un processo di liberazione ma piuttosto come un passaggio, più o meno articolato, da una “gabbia” ad un’altra.

Max Weber (Erfruet 1864 –Monaco di Baviera 1920) economista, filosofo, storico e politico tedesco  ha una posizione estremamente critica nei confronti del materialismo storico che irrigidirebbe, in una direzione dogmatica, il rapporto tra le forme di produzione e di lavoro e le altre manifestazioni della società. Nella visione weberiana, invece, assume un ruolo fondamentale anche il riconoscimento e l’influenza di altri aspetti del vivere umano come la cultura e, soprattutto la religione – una delle opere più conosciute e studiate di Weber è, infatti, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-05).

L’intera società è in realtà caratterizzata dall’interazione di differenti sfere d’azione, economiche, artistiche, religiosi, culturali, e gli uomini si muovono al suo interno in vista di fini. L’uomo agisce razionalmente, avendo accantonato la metafisica e i miti in generale, in vista di una serie di scopi da raggiungere. Scrive infatti Weber: «sono gli interessi (materiali e sociali) e non le idee a dominare immediatamente l’agire dell’uomo». La condotta della vita quotidiana viene razionalizzata in virtù di una concatenazione di circostanze e delle loro conseguenze, l’uomo riesce a dominare tutte le cose attraverso il calcolo razionale. Si assiste alla scomparsa di valori, al disincantamento, all’impossibilità di dare senso ai fondamenti e agli scopi ultimi del mondo e dell’esistenza dell’uomo. Gli uomini si trovano così privi di guide e in una totale assenza di senso. È avvenuto il passaggio alla “gabbia d’acciaio” della razionalizzazione tecnico-industriale a cui è difficile trovare una via d’uscita, non si possono forzarne le sbarre (come auspicava Marx). All’interno di questa prigione non si pensa ad altro se non alla propria aspirazione al profitto, è questo il mondo capitalistico: «Il guadagno è considerato come scopo della vita dell’uomo, e non più come mezzo per soddisfare i suoi bisogni materiali. Questa inversione del rapporto naturale, che è addirittura priva di senso per il modo di sentire comune, è manifestamente un motivo fondamentale del capitalismo così come è estranea all’uomo non tocco dal suo soffio». Nella gabbia si sviluppano una serie di valori e di visioni del mondo, nessuna delle quali predomina sulle altre. È comunque una realtà inevitabile, in quanto coincide con il processo di razionalizzazione, in cui la libertà può essere conquistata solo dal singolo e mai dalla collettività. Questo destino ineluttabile deve essere accettato dall’uomo che deve «riuscire ad essere all’altezza» della vita nella gabbia perché «è una debolezza non saper guardare negli occhi il destino del proprio tempo». In una simile concezione di incertezza gli uomini devono prestare attenzione a non affidarsi a «capi carismatici, veri e propri despoti moderni. È appena il caso di accennare al fatto che la storia della prima metà del secolo ha confermato la diagnosi weberiana e che la prima fase della scuola di Francoforte coincide con il trionfo del fascismo e del nazismo e l’ascesa al potere di Stalin nell’URSS» (Abbagnano).