di Stefano Di Palma
Sin dal secolo X la località della grotta, dove in seguito fu costruita la prima cappella in onore della Madonna delle Cese, risulta denominata come “Petra Mala”; la zona corrisponde alla vasta fascia di roccia scabra e pericolosa che, dalla grotta della Madonna delle Cese va crescendo in ampiezza e altezza con un ripido pendio per raggiungere il pianoro dell’attuale struttura, dalla quale inizia la zona sacra della Certosa di Trisulti. Secondo la tradizione, quando papa Innocenzo III era ancora cardinale, un giorno, dalla sua villa di Trisulti scese nella grotta delle Cese, dove trovò un santo eremita in estasi, dal quale si fece poi raccontare la visione avuta durante il mistico rapimento; al contempo, è cosa certa che non esisteva ancora nell’ambito della grotta delle Cese un oratorio dedicato alla Madonna sia durante il pontificato di Innocenzo III (1198-1216) che in quello dei suoi immediati successori.
La prima menzione del santuario si ha nell’ultimo trentennio del secolo XIII. I documenti, inerenti lasciti di denari, indicano come beneficiaria la Madonna delle Cese, così denominata dal termine “Cesa” (da latino caedere, ossia tagliare) che nel Lazio meridionale indica un luogo boscoso dissodato con il taglio degli alberi e degli arbusti.
Risulta cosa certa che la prima cappella era già stata realizzata nel 1319, quando il sacerdote di Collepardo, Raimondo, in quell’anno, offrì se stesso a Dio nelle mani del monaco Giovanni di Vico proprio presso l’altare della cappella di Santa Maria delle Cese.
Il primitivo impianto prevedeva una semplice cappella e l’immagine di culto era costituita da un affresco del quale si conserva nel monastero un frammento raffigurante il volto della Vergine. La distruzione dell’affresco si collega alla nuova impaginazione architettonica del santuario che avviene allo scadere del secolo XVII e soprattutto in quello successivo.
La perdita dell’affresco si spiega, infatti, con lo sviluppo del santuario in lunghezza secondo la direttrice orizzontale data dalla grotta che lo ospita. Nel 1769, alla cappella si aggiungono dei locali annessi per l’alloggio dell’eremita o del custode; nell’ultimo ventennio del ‘700, venne realizzato uno spiazzo ampio con un alto terrapieno a livello del santuario utile per accogliere la permanenza dei pellegrini, mentre la strada che porta al santuario, data a cottimo nel 1791, venne portata a termine alla fine dello stesso secolo.
La sistemazione definitiva del santuario richiese dunque un lungo arco di tempo a causa della scabrosità del luogo che rendeva difficile il trasporto del materiale edilizio attraverso ardui sentieri, pericolosi a scendere e faticosi a risalire.
Forse, dopo la sistemazione del santuario, la primitiva porta di accesso fu sostituita con l’attuale ampia finestra protetta da inferriata, utile alla visita dei devoti che lì giunti possono pregare come se si trovassero all’interno del sacro vano. Ovviamente, è stata inserita una nuova immagine di culto: si tratta di una tela, probabilmente del secolo XVIII, raffigurante la Madonna del Carmine protettrice degli asceti e inserita in una ricca cornice sorretta da sculture raffiguranti angeli.
In occasione dei restauri eseguiti nel santuario nel primo decennio del Novecento, anche questa tela fu oggetto di recupero; un nuovo intervento di restauro sull’opera si ascrive al 1976 come eseguito in occasione delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell’incoronazione della sacra immagine avvenuta l’8 agosto del 1926 per mano del cardinale Camillo Laurenti. Le statue di bronzo, raffiguranti i misteri gaudiosi del Rosario, sistemate lungo il percorso che scende al santuario, accompagnando visivamente la preghiera del pio devoto, costituiscono le testimonianze del memorabile avvenimento (cfr. A. TAGLIENTI, 1987).