PILLOLE DI ECONOMIA

IL CAPITALE DI MARX BREVEMENTE COMPENDIATO DA CARLO CAFIERO – CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO I – “MERCE, MONETA, RICCHEZZA E CAPITALE

Nel primo Capitolo del Capitale di Marx vengono trattati nel loro etimo e significato più profondo i temi della merce, della moneta e della ricchezza o capitale quale sinonimi di una certa entità di accumulo e la relazione che tra di essi intercorre.

Si legge che:

“La merce è un oggetto che ha un doppio valore: valore di uso e valore di scambio, o valore propriamente detto.

Se posseggo, per esempio, 20 chili di caffè, io posso, sia consumarli per mio proprio uso, sia scambiarli con 20 metri di tela, o con un abito, o con 250 grammi di argento, se, invece di caffè, ho bisogno di una di queste tre merci.”

Queste relazioni costituiscono le basi per scambi effettuati in origine con la logica del baratto ovvero di “barattare” la merce.

“La base del valore di scambio, o valore propriamente detto, è il lavoro umano richiesto per la produzione.”

Questa è la definizione più potente di tutto il Capitale anche se tuttavia, per quanto apparentemente universale, non include allora e non includerebbe oggi molte eccezioni quali quelli del valore affettivo e personale, storico e artistico di un bene o il valore delle informazioni che vanno ben oltre il valore del lavoro necessario per produrli. Il valore del quadro di un artista riconosciuto va ben oltre le ore necessarie per dipingerlo.

Dunque, direbbe alcuno, più un operaio è lungo a lavorare, per inabilità o per pigrizia, più valore produce. Niente di più falso. Il lavoro, che forma la sostanza del valore, non è il lavoro di Tizio o Caio, ma un lavoro medio, che è sempre uguale, e che è detto propriamente lavoro sociale. Esso è quel lavoro, che, in un dato centro di produzione, può farsi in media da un operaio.”

Qui si pongono le basi per la definizione degli standard di lavoro ordinario o medio in senso economico e statistico e le basi per i costi standard della contabilità industriale o analitica del controllo di gestione di tutte le imprese produttive sia di beni che di servizi

“Per la maggiore comodità degli scambi si comincia a servirsi sempre di una data merce come equivalente; la quale esce così dal rango di tutte le altre, per mettersi di fronte ad esse quale equivalente generale, cioè moneta. La moneta perciò è quella merce che, per la consuetudine e per la sanzione legale, ha monopolizzato il posto di equivalente generale.

Una merce non si può mai scambiare con un’altra, se il lavoro che ci vuole per produrre l’una non è uguale al lavoro che ci vuole per produrre l’altra. Questa legge bisogna tenerla bene in mente, perché sopra di essa è fondato tutto ciò che verremo a dire in seguito. Venuta la moneta, gli scambi diretti od immediati, da merce a merce, finiscono. Gli scambi devono farsi tutti, d’ora in poi, mediante la moneta;”

Il tema della moneta come elemento di monopolizzazione ed uniformità per gli scambi è evidente così come la sua naturale conseguenza, l’accumulazione della ricchezza ovvero il Capitale.

“È da questa stessa formula dunque che ricaveremo la formula del capitale. Quando noi ci troviamo in possesso di un certo cumulo di merci, o di moneta, che è la stessa cosa, noi siamo possessori di una certa ricchezza. Se noi a questa ricchezza possiamo far prendere un corpo, cioè un organismo capace di svilupparsi, avremo un capitale. Prendere un corpo, od un organismo capace di svilupparsi, vuol dire nascere e crescere; e infatti l’essenza del capitale è riposta appunto nella natura possibilmente prolifica della moneta. La risoluzione del problema (trovare il modo di far nascere il capitale) è contenuta nella risoluzione dell’altro problema: trovare il modo di far aumentare il danaro progressivamente.”