di Stefano Di Palma
Cari amici, con il nuovo anno e l’effettivo avvio della rubrica vi propongo una serie di articoli, frutto delle mie ricerche, dedicati all’eccezionale figura di san Domenico abate. Prima di illustrarvi nello specifico alcune opere d’arte in cui il santo è raffigurato e per comprendere pienamente il loro significato è opportuno in via preliminare inquadrarlo storicamente e conoscere le linee essenziali su cui si fonda il modo di rappresentarlo.
Diversi sono gli scritti che nel corso dei secoli ci hanno tramandato le gesta compiute da san Domenico. E’ bene ricordare che le fonti più importanti ed antiche sono la cosiddetta “Vita di Giovanni” nota tramite un manoscritto perduto steso nel 1597 da un presbitero di Anagni; la “Vita di Alberico”, scritta nella seconda metà del secolo XI dal celebre Alberico di Montecassino e la raccolta dei “Miracoli” stesa entro i primi decenni dalla morte di Domenico.
I punti estremi dell’itinerario umano, religioso e geografico di Domenico sono Foligno, dove nasce a metà del secolo X e Sora dove si spegne nel 1031 presso il monastero di Santa Maria da lui stesso fondato. Da giovane, nella comunità di Santa Maria a Petra Demone in Sabina, il santo riceve l’abito monastico benedettino e la consacrazione sacerdotale; successivamente inizia il suo percorso di fondatore di monasteri ubicati tra il Lazio, l’Abruzzo e il Molise.
Si ricordano a tal proposito le principali fondazioni di Scandriglia, San Pietro in Lago, San Pietro Avellana, Trisulti e Sora nonché di una serie di eremitaggi; a tali attività costruttive si alternano momenti di estrema e ricercata solitudine dove il benedettino riceve anche visioni soprannaturali. Un’altra costante attività esercitata dal monaco Domenico è quella di predicatore che ci è documentata presso Guarcino, Vico nel Lazio, Collepardo; un tema ricorrente è quello dell’immoralità del clero denunciata da san Domenico con sentiti rimproveri ai sacerdoti per l’avarizia, la lussuria e le unioni illecite. In tali occasioni le folle si accalcano per ascoltarlo e si manifestano, con sempre maggiore evidenza, le sue doti taumaturgiche medianti le quali muti, zoppi, ciechi, indemoniati vengono sanati dai loro mali.
Domenico muore a Sora il 22 gennaio del 1031 presso il monastero di Santa Maria da lui stesso fondato, secondo la tradizione nel 1011, su un possedimento di proprietà di Pietro Rainerio signore di Sora e di Arpino. Gli infiniti miracoli operati dall’Abate in vita e dopo la sua morte, allorché il sepolcro in cui è tumulato diventa metà di pellegrinaggio, sanciscono con immediatezza nella percezione comune la santità di Domenico.
Il 22 agosto 1104, papa Pasquale II (1099-1118) giunge a Sora per rendere omaggio alle spoglie del benedettino e lo proclama santo associandolo alla Vergine come titolare della chiesa del monastero sorano conosciuta sino ai nostri giorni come di “San Domenico”.
Nel secolo X, durante il quale il monachesimo italiano vive un periodo segnato da una serie di riforme e decadenze, Domenico rappresenta una delle figure più attive tesa ad allargare la vita monastica e a farla rifiorire. L’Abate opera in contesti periferici, strettamente legati ai signori laici (che spesso garantiscono vita ai monasteri benedettini fondati): luoghi in cui si andava proprio in quel tempo organizzando un nuovo assetto del territorio insieme economico, sociale e politico derivato dal processo dell’incastellamento.
La poliedricità della figura del monaco Domenico scavalca qualsiasi tentativo di racchiudere la sua persona entro rigidi schemi di santità. La varietà stessa degli epiteti che si accostano alla sua persona denota la versatilità insita nel suo personaggio e rende l’idea di quanta importanza abbia avuto l’elaborazione locale della sua figura. Da ciò derivano, quasi si trattasse di santi distinti, le diverse denominazioni con cui è conosciuto: san Domenico Abate (dalla sua maggiore prerogativa) ma anche san Domenico di Foligno, san Domenico di Cocullo, san Domenico di Sora (dai nomi dei luoghi dove è nato, dove si venera maggiormente in Abruzzo, dove è morto).
Per quanto concerne la restituzione iconografica due sono le categorie a cui attinge la tradizione artistica. Nelle immagini Domenico è rappresentato infatti sia come abate benedettino (in ripresa di uno dei principali aspetti che lo connota storicamente) sia come taumaturgo (frutto dell’interessante processo di elaborazione con cui il culto popolare ha percepito la figura del santo).
Il primo tema è il più antico; le immagini di particolare interesse storico-artistico del periodo medievale ci presentano san Domenico con l’abito scuro dei monaci benedettini e munito di pastorale (insegna abbaziale) e di un codice che può alludere alla Regola dell’Ordine o al Vangelo. Le testimonianze più importanti di questo periodo si hanno in ambito laziale.
Il secondo tema è successivo e si sviluppa in età moderna; san Domenico ci è proposto ancora come abate benedettino e può essere accompagnato da vari elementi tratti dal repertorio popolare alludenti ad episodi della sua vita. Il santo può recare variamente con sé un ferro, un dente, dei serpenti, un cane, un putto. Le testimonianze più importanti si hanno in Umbria, in Molise e soprattutto in Abruzzo come attesta il celebre esempio della statua di culto conservata presso Cocullo. I collegamenti che danno senso a specifiche tradizioni vi saranno illustrati nel prossimo articolo.
Speciale menzione merita l’area del frusinate e particolarmente quella che orbita intorno al monastero di Sora: in questo caso la tradizione è accettata in maniera circoscritta. In questa zona infatti, pur mantenendo le insegne che lo qualificano come abate, è conosciuta l’immagine di san Domenico in veste di cistercense (abito bianco e scapolare nero). Ovviamente si tratta di una interpretazione priva di congruenza storica ma che trova spiegazione nel passaggio della gestione del monastero di Sora fondato da san Domenico dalla comunità benedettina a quella cistercense avvenuto nel 1222 intesa quale estensione dell’importante cenobio di Casamari da cui dipende. L’immagine per eccellenza conosciuta a Sora e dintorni e che si collega a queste circostanze storiche è il simulacro conservato proprio nella Basilica Minore di San Domenico.