di Stefano Di Palma
Le più antiche raffigurazioni di san Domenico si trovano in due reliquiari del tipo a “lastra” che insieme ad altri oggetti consimili del tipo “antropomorfi” facevano parte del prezioso corredo di reliquie di Casamari trasferite, per motivi di sicurezza, nel 1572 a Veroli per volere del cardinale Michele Bonelli. In significativo ricordo delle origini di questi preziosi manufatti fino al 1783, una volta l’anno e precisamente nel giorno dell’Ascensione, tutti gli oggetti che componevano il “Tesoro” venivano portati in processione da Veroli a Casamari.
Nel primo caso si tratta di un pezzo altamente sofisticato (prodotto e rielaborato tra i secoli XII e XIII) costituito da una teca schermata da quattro pannelli in argento dorato, lavorati a traforo e con parti piene provviste di una decorazione graffita e punzonata. Speciale menzione, utile all’argomento qui trattato, è quella dedicata ai quattro listelli situati lungo il perimetro del reliquiario che accolgono pietre dure e cristalli di rocca alternati a nove medaglioni dipinti che ritraggono santi identificati dai rispettivi “tituli”. (Si tratta dei santi Pietro e Paolo; Nicola e Bernardo; Restituta e Giovanni; Domenico, Paolo e Benedetto).
Tali opere costituiscono uno dei rari esempi di pittura sotto vetro di epoca medievale e si ascrivono nell’ambito della pittura romano-laziale dei primi decenni del secolo XIII. Anche nel caso del vetro dedicato a san Domenico, raffigurato incappucciato con una mano portata sul petto ed un pastorale a tau, si coglie l’alto livello qualitativo di queste pitture.
Il volto dell’Abate è reso con intensa e severa fisionomia prodotta attraverso un deciso segno di colore scuro (il quale si riduce a rapidi tratti paralleli nella resa della barba e dei capelli che sbucano dal cappuccio) che si muove sopra delicate sfumature di colore con cui è definito l’incarnato del viso assumendo esiti luminosi sul collo.
I santi effigiati nei medaglioni ben si sposano con la provenienza di questo reliquiario. Alla presenza dei Principi degli Apostoli ossia Pietro e Paolo, cara alla tradizione figurativa medievale, si affiancano santi che alludono chiaramente alla tradizione locale e per la maggioranza dei quali si riscontrano profonde relazioni con l’Abbazia di Casamari.
All’infuori della santa Restituta (in tutti i casi patrona della vicina Sora) tale circostanza si evidenzia nelle presenze dei martiri Giovanni e Paolo, titolari insieme alla Vergine, della chiesa abbaziale di Casamari; anche la presenza di san Nicola è da leggere come espressione del culto locale a lui dedicato e di cui si conoscono importanti manifestazioni passate presso Veroli e ancora a Casamari. Infine nella pittura dedicata a san Bernardo è evidente la devozione cistercense (di cui ancora una volta la stessa Casamari rappresenta l’elemento di unione con il territorio) come anche da quelle dedicate ai santi Benedetto e Domenico abate trapela una devozione benedettina che significativamente richiama le origini dello stesso cenobio di Casamari fondato nel secolo XI, sotto la Regola del patriarca Benedetto, da alcuni ecclesiastici di Veroli che vestirono l’abito dell’Ordine con l’assenso di Giovanni, abate del Monastero di San Domenico in Sora.
Nel secondo caso si tratta di un manufatto composto come il primo da una teca di legno rivestita da lastre traforate in argento dorato con una decorazione a spiccato carattere geometrico. L’insieme di questo insistente ornato è trattenuto dalla cornice costituita da ben nove listelli sui quali, alternati a pietre dure e paste vitree, si trovano ventidue ritratti di santi fusi in argento e cesellati identificati dal relativo titulus. (Cristo affiancato dalla Vergine e san Giovanni evangelista; i santi Pietro e Paolo; gli Apostoli; e i santi Maria Maddalena, Giovanni Battista, Domenico, Benedetto, Bernardo, Nicola, Giovanni e Paolo).
Nella serie dei tre santi benedettini, l’esecutore dell’opera si apre ad una personale visione proponendo il medesimo modulo facciale per ciascun santo monaco: esso si basa sulla redazione di tratti somatici duri e le presenze di barba corta e tonsura. Ovviamente l’espediente a cui si ricorre (non privo di alcune ingenuità) è camuffato dalle diverse posture e dalla diversa resa dell’abbigliamento monastico indossato dai tre personaggi.
Nel viso di san Domenico, raffigurato frontalmente, alcune durezze si stemperano come accade nel caso della meno compatta barba che rende le gote più evidenti. L’Abate indossa il cappuccio che incornicia il volto, limita la visione della tonsura e si presta ad un mirabile effetto tutto giocato sulla contrapposizione di linee ondulate e spigolose: le prime creano una morbida punta sopra la testa e rendono visibili le orecchie mentre le seconde si amplificano rendendo percepibile parte del collo. La datazione del 1291 riportata nell’iscrizione che scorre nella zona inferiore del reliquiario è aderente all’opera nel complesso e nei suoi diversi particolari.