di Stefano Di Palma
Il tema di quest’olio su tela dipinto nel 1819 da Théodore Gericault (1791-1824) si collega ad un vero episodio di naufragio che, nonostante i tentativi del Governo di tacitare la stampa, aveva creato clamore nell’opinione pubblica e attirato sulla Marina borbonica diverse critiche da parte liberale.
Il 18 giugno 1816, tre navi e la fregata Medusa avevano lasciato la Francia per dirigersi nel Senegal: si tratta del viaggio di ritorno del governatore di una colonia di quel posto. Il 2 luglio si verificò il naufragio; una parte dei passeggeri venne sottratta al pericolo di morte con delle scialuppe di salvataggio, mentre ben centoquarantanove persone furono caricate su una zattera di fortuna abbandonata al suo destino. Le precarie e poi estreme condizioni di fame e di sete causarono fra i naufraghi una spietata quanto penosa lotta per la sopravvivenza visto che dopo giorni di grandi sofferenze la nave Argus recuperò solo quindici moribondi.
Prima di cimentarsi in una simile rappresentazione, Gericault raccolse gli articoli di giornale che raccontavano la triste vicenda e si mise in contatto con due testimoni sorprendentemente scampati. Il risultato è quest’opera esposta al Salon del 1819 non compresa dalla critica francese ma che poi ebbe un grande successo in Inghilterra.
Il pittore decise di raffigurare il momento in cui durante uno degli ultimi giorni della loro deriva, i naufraghi avvistarono una nave e cominciarono a fare dei segnali di richiesta di aiuto, ma invano. Dal punto di vista artistico, l’opera è molto singolare per il periodo. Come è stato evidenziato, se il fermo contorno e l’attenzione alla resa anatomica dei corpi potrebbero avvicinarla alla lezione Neoclassica di David, altre componenti si associano al linguaggio figurativo di alcuni maestri del passato: lo spostamento del fulcro della composizione verso destra (con il punto focale dato dall’africano di spalle che sventola un tessuto) e la caotica disposizione dei corpi, assemblati su una diagonale con andamento da sinistra a destra, enunciano una dinamica più rubensiana che davidiana; al contempo la presenza dei corpi nudi che fungono da quinta teatrale in primo piano, insieme a un sapiente quanto drammatico uso di violenti colpi di luce, rimanda alla lezione caravaggesca (cfr. R. SCRIMIERI, a cura di, 2002).
L’assimilazione del linguaggio figurativo del passato è, del resto, uno dei tratti distintivi della formazione artistica di Gericault, il quale nel periodo di contatto con l’ambito neoclassico, passava il suo tempo fra la passione dei cavalli e la stesura di copie dei grandi maestri come Tiziano, Van Dyck e Rubens. Il senso di realismo che pervade quest’opera è inoltre raggiunto dal pittore attraverso numerosi studi di teste di giustiziati che l’artista si era procurato grazie ad alcuni medici.
Tuttavia, il significato dell’opera supera l’avvenimento di cronaca e assume un tono eroico: si tratta della rappresentazione della lotta per la sopravvivenza della umanità intera, il duello tra la paura di soccombere e la forza della vita che ogni uomo, a vario livello, è chiamato ad affrontare a un certo punto dello scorrere del proprio destino.