La morte di Giulio Andreotti, vale a dire l’uomo politico italiano più influente dal secondo dopoguerra ad oggi, ha sollevato su tutti i media la consueta, e a dirla tutta poco elegante, ondata di ‘coccodrilli’ (pronti da chissà quanto tempo) condita da fiumi di aneddoti e racconti sulla sua controversa figura. E allora, forse, diventa più interessante cercare di ricostruire un aspetto forse secondario della sua esistenza, che tuttavia per noi sorani è sempre stato di primaria importanza: il suo decennale legame con la provincia di Frosinone ed in particolare con Sora. Un legame che lo stesso Andreotti non nascondeva e che perfino il regista Paolo Sorrentino, nel suo film ‘Il Divo’, ha voluto marginalmente toccare. Il suo interesse per Sora nasce da lontano e secondo una logica politica che, sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, era dominante: la battaglia per mantenere fuori il Pci da tutti gli enti amministrativi. Si era in piena epoca di Guerra Fredda e la lotta al comunismo rappresentava non soltanto un aspro confronto interno al Paese, ma una dinamica fondamentale nello scacchiere mondiale che vedeva l’Italia come ultima nazione al confine con il blocco dei paesi del Patto di Varsavia. Anche a Sora, dunque, la necessità era divenuta quella di mantenere ben saldo al potere il blocco democristiano limitando al massimo ogni genere di ‘sinistra incursione’: fu proprio Giulio Andreotti, dunque, a costruire ed oliare una tela di fittissimi contatti con il nostro territorio, in modo da ‘blindare’ la zona, divenuta per tutti gli osservatori politici un suo feudo esclusivo. La sua azione, ricordano alcuni, fu ad esempio decisiva quando, nel 1956, qualcuno pensò che per il bene di Sora sarebbe stato utile iniziare a parlare di convergenze politico-amministrative con la sinistra (una sorta di compromesso storico ante litteram in pieno stile Aldo Moro). La sua opposizione al progetto fu ferma ed irremovibile: addirittura in città sorsero problemi di ordine pubblico, con tanto di letture pubbliche del decreto di scomunica datato 1949 per tutti i cattolici che intendessero collaborare con la sinistra: la situazione degenerò a tal punto da indurre il prefetto di allora ad intervenire per mettere fine all’esperimento. Alla fine, pertanto, la linea che era anche di Andreotti riuscì a prevalere e a far naufragare il progetto, insieme a coloro che lo avevano proposto. Da allora, la sua influenza sul territorio è rimasta pressoché incontrastata, almeno fino all’inizio degli Anni ’90, quando cioè, anche per motivi di età, decise di defilarsi dalla scena. Negli ultimi tempi, nonostante gli acciacchi sempre più incombenti, non aveva rinunciato a frequentare le nostre zone, nelle quali si recava più che altro per visitare vecchi amici per una partita a poker o burraco, giochi di cui era un vero appassionato. La sua figura può essere amata oppure odiata; il giudizio sul suo travolgente cursus honorum può essere o no condizionato dalla note vicende giudiziarie; una sola cosa appare indiscutibile: con la morte di Giulio Andreotti, oggi, si chiude definitivamente una stagione, per Sora, di decisiva importanza e centralità.