Negli ultimi anni è stato registrato in molte città italiane, ma soprattutto nella provincia di Frosinone, un notevole incremento dell’inquinamento atmosferico. Gli spostamenti sono stati limitati dalla pandemia da Covid 19 e dalla crisi economica e questo ha fatto sì che l’utilizzo delle macchine, del trasporto locale e di altri mezzi si sia ridotto notevolmente. Tale situazione inizialmente ha avuto dei risvolti vantaggiosi sull’ambiente, con una riduzione dell’inquinamento atmosferico registrata in diverse parti del mondo. Tuttavia, dai dati diffusi dal sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA), i livelli di inquinamento atmosferico risultano complessivamente aumentati probabilmente a causa della minore piovosità registrata in alcuni mesi dell’anno, che hanno portato a una ridotta dispersione degli inquinanti. Il particolato PM10 è tra i principali inquinanti generati dai processi di combustione, come quelli che coinvolgono l’utilizzo di veicoli a motore e di impianti di riscaldamento. Esso rappresenta una reale fonte di pericolo per il benessere e la salute dell’uomo, nonché per la sopravvivenza di interi ecosistemi. Un rischio sottolineato anche nell’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea per l’ambiente, che ha dichiarato per il 2020 oltre 70 mila decessi evitabili causati dall’esposizione eccessiva ad inquinanti atmosferici. Inoltre studi scientifici hanno evidenziato che esiste una correlazione tra i livelli alti di PM10 e un aumento di ricoveri per malattie cardiache e respiratorie. In particolare nei grandi centri urbani, dove l’inquinamento atmosferico è tendenzialmente maggiore che in altri territori. È dunque fondamentale monitorare la presenza di questo agente nell’atmosfera e per farlo vengono utilizzate apposite stazioni localizzate nella maggior parte delle aree urbane d’Italia. Essendo il PM10 uno dei principali elementi inquinanti sono stati stabiliti dei limiti per regolamentarne i valori, sopra i quali l’aria diventa dannosa per gli abitanti. Ed infatti l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato l’inquinamento dell’aria nel Gruppo 1, vale a dire tra le sostanze cancerogene per l’uomo. L’organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha fissato un valore di riferimento entro cui sottostare, pari a 50 µg/m³ da non superare per più di 3 volte in un anno. Il rispetto di questo limite rientra nei 17 obiettivi che le Nazioni unite hanno prefissato all’interno dell’agenda 2030 nel cosiddettoa pacchetto “Aria Pulita” a cui hanno aderito l’Unione europea e i suoi stati membri, compresa l’Italia. Oltre alle raccomandazioni dell’Oms, anche l’Italia nel decreto legislativo 155/2010 regola la concentrazione di PM10, stabilendo come limite massimo 50 µg/m³, da non superare oltre 35 giorni all’anno. Nonostante le procedure di infrazione europee contro l’Italia per il mancato rispetto dei limiti giornalieri imposti di PM10 e PM2,5 (rispettivamente nel 2014 e 2020), nonostante gli accordi che negli anni sono stati stipulati tra le Regioni e il Ministero dell’Ambiente per ridurre l’inquinamento atmosferico (Piano “Aria Pulita”, 2019) e nonostante le risorse destinate in passato e in futuro con il PNRR, in Italia manca ancora la convinzione di trasformare concretamente il problema in un’opportunità. Opportunità che prevede inevitabilmente dei sacrifici e dei cambi di abitudini da parte dei cittadini, ma che potrebbero restituire città più vivibili, efficienti, salutari e a misura di uomo.
da Team di Fare Verde