DeGenerazione – memorie di un assassino
di
Marco Fosca ed Emilio Mantova
XV
La cella 313
In quei giorni mi impegnai nel ripristinare il mio stato fisico e mentale. Con l’aiuto di un po’ di contrabbando riuscii ad ottenere cibo nutriente e ritagli di giornale per tenermi informato sugli avvenimenti all’esterno. Ero ormai determinato a studiare un piano di fuga. In pochi mesi avevo riacquistato la forma e la consistenza fisica di un uomo normale… mi sentivo un dio!
Cominciai a informarmi tra i detenuti più anziani sulle abitudini dei carcerieri, orari e turni ricavando una moltitudine di informazioni anche a livello strutturale della prigione, un tizio aveva addirittura disegnato negli anni una mappa dettagliata con l’aiuto degli altri detenuti dell’intera struttura, un altro invece era in possesso una ricostruzione della rete fognaria ricreata su carta igienica da un tizio che vi aveva lavorato ai suoi tempi e che poi era stato arrestato per rapina con sequestro ed omicidio plurimo di ostaggi scontando i suoi restanti anni di vita proprio in questa prigione. Non mi sembrava vero, ero tornato ed automaticamente avevo ripreso a mettere in pratica tutti i meccanismi che mi avevano reso uno dei migliori agenti K.K.
Il materiale che avevo a disposizione era notevole e dettagliato soprattutto perché ero venuto a conoscenza di una strana storia su una tentata fuga mai eseguita a causa della morte prematura in una rissa alla vigilia della spettacolare evasione di uno dei partecipanti. La voce all’orecchio mi arrivò dal ragazzo delle pulizie, un detenuto cileno che si chiamava Gary Medina che si trovava nel braccio tossicodipendenti. Era stato incriminato per aver ripetutamente importato cocaina in Italia diventando così un trafficante internazionale. Lui ne era fiero. Diceva sempre che quando sarebbe tornato a casa il suo prestigio nel campo lo avrebbe fatto decollare, tutti avrebbero festeggiato il suo ritorno dopo la detenzione (che rispetto a quella del suo paese, parole sue, era una vacanza in albergo) ed avrebbe preso il controllo del mercato internazionale su alcune zone italiane. Gary aveva sentito raccontare solo una volta questa storia da un personaggio la cui credibilità era discutibile dato il suo stato mentale, un pazzo dicevano tutti, io lo avevo visto molte volte durante le ore di socialità. Il suo nome era Carlo, vagava tra le celle e veniva scacciato da tutti date le sue stranezze e discorsi paradossali. Era facile vederlo masturbarsi in corridoio oppure alla ricerca ininterrotta di sigarette tra i detenuti mentre fumava il pagliericcio delle sedie con una strana pipa da lui confezionata… però ero stranamente attirato dal suo racconto perché i suoi personaggi erano reali ed il tutto fattibile. Comunque non mi costava niente controllare, avevo tempo!
L’ episodio è incentrato su alcuni suoi ex compagni di cella, accusati di una rapina in una banca proprio della cittadina di Aden, cinque presunti terroristi dello Yemen che cercavano rifugio e soldi in Italia per finanziare un loro attacco. A turno si erano impostati per creare un gruppo di vigilanza ed un gruppo di lavoro. Dopo essersi creati gli strumenti da lavoro, alcuni sottratti con maestria dai laboratori di lavoro, avevano incominciato a scavare un tunnel dietro uno dei letti a castello della cella. La posizione era insospettabile dato che i letti erano fissati di norma al pavimento (cosa cui hanno provveduto subito) ed il varco di partenza veniva sempre nascosto da un finto strato di parete di carta pesta decorato con gli stessi identici colori difficilmente notabile a causa del cattivo stato delle mura carcerarie. Un lavoro certosino che avrebbe permesso loro di fuggire indisturbati durante le ore della notte. Indisturbati come lo erano stati anche nello scavare il tunnel. Il punto di fuga sarebbe arrivato all’ estremità occidentale del carcere che avrebbe sfociato in uno scarico fognario abbastanza capiente e lungo da portarli ad una buona distanza dalla casa circondariale. Un piano perfetto, neanche gli uomini di guardia se ne sarebbero resi conto in tempo puntando il giorno dell’ evasione ad un importante incontro calcistico perché nessun secondino avrebbe resistito all’invito di una serata rilassante e distrattiva in un postaccio come quello, e bam! Via come le lepri!
Carlo era stato assorbito dal gruppo in garanzia che non ne parlasse con nessuno e con l’augurata promessa di una fuga da manuale.
I cinque ragazzi furono sfortunati però. Come detto prima alla vigilia della fuga uno dei componenti del gruppo rimase ucciso in una lite tra Italiani ed extracomunitari. I compagni, immischiati anche loro per salvare la vita al loro amico furono trasferiti in Yemen per sedare gli animi rivoltosi, ed anche perché arrivò, sfortunatamente per loro una segnalazione dal loro paese di una serie di reati a stampo terroristico che li aveva immediatamente condannati a rientrare per essere giudicati e giustiziati.
Carlo fu sbattuto in una cella di isolamento a tempo indeterminato per tenerlo lontano dagli Italiani che ormai lo avevano etichettato come “amico dei negri” e che volevano il suo sangue. Fu lì che Carlo perse il lume della ragione e mutò gradualmente il suo stato di salute mentale, e fu proprio quello che gli salvò poi la vita quando venne rigettato nella fossa perché nessuno avrebbe mai colpito a morte un ritardato.
Una storia paradossale che a distanza di anni venne dimenticata e di Carlo rimase solamente “il pazzo”. Un pazzo con un enorme e consistente segreto, il segreto della libertà.
Tempo dopo riuscii ad ottenere da un archivista un ritaglio di giornale in cui veniva fuori la vicenda dei cinque ragazzi in questione, pensai cazzo è tutto vero non è stata una fantasia frutto della mente deviata di Carlo, se tutto questo è successo davvero i ragazzi avrebbero aver potuto scavare il tunnel… feci sparire quel ritaglio scaricandolo nel cesso, nessuno doveva sapere… dovevo in qualche modo avvicinare Carlo e obbligarlo a ricordare… ho bisogno di sapere il numero della cella e di verificare se il tunnel esiste, poi grazie alla pianta delle fogne, che quei ragazzi non possedevano ma io si, potrei tornare a vedere la luna per intero!
Ero eccitatissimo ma non dovevo lasciare che questo stato di euforia mi lasciasse condizionare tradendomi nei movimenti all’interno del carcere. Bisognava studiare il sistema migliore per poter stabilire un contatto con Carlo senza dare nell’occhio dato che ormai tutti sapevano che ero interessato alla fuga perché se si fosse saputo che c’era buona probabilità che il tunnel esisteva si sarebbe scatenata una caccia che avrebbe messo poi gli aguzzini in stato di allerta. Dopo una attenta riflessione mi venne in mente di utilizzare una strategia semplice ma sicuramente efficace. Tutti sanno che sotto stato di alterazione mentale mediante alcool e droghe si fanno e si dicono cose strane e ridicole… beh il mio piano era questo. Mi ero messo a frequentare il giro dei dipendenti cominciando con alcune bevute di gruppo e passando poi all’ assunzione di alcuni allucinogeni.
I miei primi approcci con le sostanze erano serviti a creare il personaggio ed a studiare gli effetti e comportamenti che avrei dovuto assumere per essere credibile. Ora tutti sapevano che ero un fattone, non mi restava altro da fare che avvicinare Carlo. In una delle sedute (per così dire ricreative) durante l’ora di socialità feci la mossa esibizionistica davanti ai detenuti di sparami tre acidi insieme, ma con mossa magistrale mentre facevo un sorso di vino dal cartone, ve li sputai dentro. Da lì a mezz’ora avrei potuto avvicinare Carlo, e così feci. Mentre attendevo e fingevo che gli acidi stessero cominciando a fare effetto, guardavo Carlo e mi veniva in mente Samuel Beckett, un drammaturgo, scrittore e poeta irlandese, premio Nobel per la letteratura che scrisse “si nasce tutti pazzi. Alcuni lo restano.” Rimasi a pensare. Mi guardavo intorno e ragionavo sul fatto che forse Carlo era meno pazzo di tutte le persone dentro e fuori queste mura. Forse i pazzi eravamo noi che ci combattevamo, uccidevamo ed imprigionavamo a vicenda per ideali e stili di vita forse utopistici… lui se ne stava lì a godersi il nulla che lo circondava, senza pretese particolari non avendo nulla e non pretendendo nulla… però è anche vero come scrisse Beckett “A chi non ha nulla è proibito non amare la merda.”
Decisi di rimandare il mio momento filosofeggiante, ed entrare in azione subito senza perdere altro tempo.
Con fare disinvolto e irregolare mi avvicinai all’obiettivo. Tirai fuori due sigarette e presi a fumare.
Il ragazzo era felice di essere in compagnia, non era più abituato ad avere un vero contatto umano, ed io presi la palla al balzo cercando di farmelo amico.
Ripetei la cosa più volte al fine di creare una sensazione di sicurezza in Carlo ogni volta che lo avvicinavo.
Parlavamo molto di donne sesso e perversioni varie, ambito in cui era nettamente superiore e a suo agio. Avevo però bisogno di un catalizzatore affinché potessi scioglierlo del tutto ed arrivare finalmente al sodo, ed è così che in uno dei nostri incontri gli offrii un bicchiere di vino saturo di acidi. Mi sentivo un po’ colpevole per il gesto perché temevo di ridurlo in uno stato ancor più peggiore di quello attuale, ma forse gli avrei fatto solo un piacere pensavo e nel frattempo cercavo di immaginare quali viaggi o quali visioni si sarebbero sviluppate nella mente di un pazzo imbottito di acidi…
Quando mi resi conto che era arrivato a livello decisi di agire. Mi spacciai per uno di quei ragazzi dello Yemen, quello morto, e gli dissi:
-Carlo… sono Makalu, non mi riconosci? Carlo rispondimi, guardami, mi riconosci?
Makalu, il grande nero, come il monte, ti ricordi? –
Cercai di fare appello a tutte le informazioni che avevo a disposizione che avevo letto sull’ articolo di giornale sull’identità del detenuto rimasto ucciso nella rissa…
-Carlo alzati dobbiamo prepararci per la fuga, dobbiamo andare nella nostra cella dagli altri compagni a controllare che tutto sia a posto per domani-
Carlo alzò gli occhi lucidi, mi guardò e disse:
-Makalu amico mio ho sognato che fossi morto ma invece sei qui con me e mi stai parlando, oh Makalu…-
A dire la verità quella scena mi commosse. Carlo pensava davvero di avere difronte il suo amico Makalu, e soprattutto pensava davvero di aver sognato il resto degli anni susseguitosi al tragico episodio. Continuò dicendomi:
-Dobbiamo festeggiare, pensavo di avervi perso tutti ma invece siete qui…-
-senti Carlo, festeggeremo dopo l’evasione, ora non farti prendere la mano nessuno deve sapere cosa stiamo per fare ricordi? Andiamo a controllare la cella e poi a dormire, c’è stato un cambiamento improvviso dei piani si parte stanotte!!!-
Mi alzai sollevando di peso Carlo e mi feci condurre verso la fantomatica cella. Dal di fuori tutti ci vedevano come due sporchi tossici strafatti e ubriachi che ciondolavano di qua e di là lungo il corridoio sparando cazzate, ma in realtà eravamo due uomini che marciavano verso il loro destino.
Ad un certo punto Carlo si fermò davanti una cella molto vecchia e lurida. Il cancello era chiuso, la luce spenta. Era posizionata in fondo al corridoio, proprio vicino il gabbiotto dell’appuntato sorvegliante.
-cella 313, è questa- disse
-Sei sicuro Carlo?-
-sicuro come le tasse ha ha ha ha ha ha ha…-
La cella era diventata un fottutissimo stanzino degli attrezzi da pulizie piena di scopettoni secchi stracci e scatoloni. Ero fregato non potevo controllare il muro dietro il letto e quindi se il tunnel era una realtà. Per un paio di minuti rimasi lì congelato e abbattuto… Dio la sfortuna mi perseguita… ma subito dopo mi rianimai e per non creare sospetti mi allontanai.
Portai Carlo nella sua cella e facendo finta che mi avesse toccato i genitali, per salvare le apparenze, gli diedi un destro poderoso e lo misi a nanna, il giorno dopo non avrebbe ricordato niente ed io me lo ero tolto dai piedi senza dare nell’occhio.
Nella settimana seguente mi torturai la mente pensando a come risolvere la cosa. Potrei ricorrere a Gary, lui fa le pulizie dei piani ed ha accesso due volte al giorno allo stanzino degli attrezzi, pensai tra me e me, ma non volevo rischiare tutto rivelando un segreto del genere a qualcuno. Non potevo fidarmi di nessuno.
Potrei farmi assumere? No ci sono già abbastanza inservienti. Ma se qualcuno lasciasse il posto per uno migliore? Come spesino magari o per un lavoro in cucina…
Nel frattempo decisi di fare domanda al comandante per prenotarmi in caso si liberasse un posto come uomo delle pulizie. La fortuna stava girando finalmente dalla mia. Gary mi disse che aveva raggiunto un accordo con il suo avvocato e cioè farsi estradare per scontare la pena in Cile e li gli sarebbe bastato pagare una semplice mazzetta per uscire e tornare a casa tanto non aveva più bisogno di tornare in Italia, aveva creato il suo ciclo, creato contatti ed alcuni corrieri avrebbero fatto tutto il lavoro sporco.
Le mie pressioni per quel lavoro erano sempre più frequenti. Da un momento all’altro il posto si sarebbe liberato. Chi l’avrebbe mai detto che avrei desiderato così intensamente un impiego del genere in un posto del genere? Eppure attraverso il più umile dei mestieri mi sarei riscattato nel più umile dei luoghi.