DeGenerazione – memorie di un assassino
di
Marco Fosca ed Emilio Mantova
XIII
Carrozza n.3
Nella stazione dovemmo attendere il treno un paio d’ore.
Nella sala d’aspetto la gente adulta aveva facce stanche, ma i giovani, invece, traspiravano una freschezza ingenua. Io e Francesca aspettavamo impazienti il nostro treno. Inizialmente non ero d’accordo ma mi era stato imposto di attuare il piano di morte con lei in modo da passare per una coppia di giovani fidanzati in viaggio. Erano quasi le cinque ma pareva ancora mezzanotte. Quando salimmo sul treno pieno di povera vecchia gente mischiata a giovani vestiti da quattro soldi, il treno, tra lunghi fischi e svaporate, guadagnò la periferia e la campagna. Nel giorno che non decideva a spuntare, passammo campagne deserte a destra e sinistra alternando colline alberate. Pian piano comparivano catapecchie e fabbriche in disuso appena costruite con gli scheletri d’acciaio ancora luccicante.
Gli appunti del dottor Refice mi avevano chiarito abbastanza il quadro della situazione. La multinazionale S.I.M. era intenzionata a delocalizzare la produzione verso paesi più tolleranti e meno rigidi dal punto di vista della qualità produttiva e dei diritti dei lavoratori in modo da non avere rogne per continuare a produrre i suoi prodotti avvelenati. Questo in estrema sintesi era il nocciolo della questione. Il dottor Refice aveva scoperto tutto e per questo era stato fatto fuori. Fine della storia!
La carrozza n.3 era una di quelle senza scompartimenti. Poca gente, un signore e una signora: marito e moglie che stavano andando a Milano per un incontro sportivo. Almeno era questo che si intuiva dalle loro chiacchiere coniugali. Poi c’era un’altra signora più avanti ed altre due persone, ancora un uomo e una donna. Infine io e Francesca. Ormai era questione di minuti e poi avremmo agito.
Concentrarmi su l’azione che da lì a poco dovevo compiere mi riusciva difficile e non so perché meditavo sul fatto che nelle periferie industriali l’aria ha sempre lo stesso odore fetido di gas misto a merda.
Mentre continuava l’alternanza di anonimi paesaggi massacrati da anonime costruzioni grigie come caserme tristi, comparve lassù in alto il sole con la sua pelle rosso oro. Il treno fece una breve sosta nella stazione che precedeva la nostra d’arrivo. Caselli, fari, depositi, cavalcavia, palizzate di cemento, gente in caos e abbaiare dei cani e tutto il resto.
Ma in quel treno, in quello stesso giorno di novembre, tre poliziotti prestavano servizio di pattuglia. Lo sguardo di uno dei tre agenti si soffermò su di noi. Si avvicinarono, ci chiesero i documenti. C’era qualcosa che non tornava. Riconobbi subito “Giacca di tweed”. E fu in quell’istante che, senza pensarci su, estrassi la 347 automatica e gliela puntai alla gola. Gridai a tutti di non muoversi.
Furono attimi velocissimi. Francesca si avvicinò a uno dei finti poliziotti, cercando di sottrargli la pistola, ma non ci riuscì. L’arma cadde a terra sotto i sedili. Francesca si chinò e riuscì in qualche modo a prenderla, gli altri due cercarono di bloccarla. Lei cercò di sparare, ma senza togliere la sicura e il percussore non scattò. Io invece sparai e raggiunsi al collo “Giacca di tweed”. Anche uno dei finti poliziotti fece fuoco e colpì al petto Francesca. Altri spari, urla. La signora che stava da sola corse lungo il vagone. L’altra signora si buttò sotto il sedile. Colpo di scena. L’altro signore che accompagnava la signora sdraiata sotto il sedile era un vero poliziotto e, anche se non in servizio, aveva con sé la beretta d’ordinanza. Questo non potevo prevederlo. Sparò e mi colpì alla spalla facendomi cadere a terra privo di sensi.
Tutto si fermò lasciando nel vagone un forte odore di polvere da sparo bruciata. Per terra in una pozza di sangue giaceva Francesca e “Giacca di tweed” che avevo centrato alla gola.
Questo racconto tratta vicende che intrecciano realtà e fantasia.
Vengono riportati fatti ed eventi storici che a volte vengono fantasticamente modificati e quindi non esattamente veritieri.
Molti personaggi sono inventati ed ogni riferimento totalmente casuale.
La distorsione di alcune notizie è anche riferito a personaggi reali e realmente esistiti.
Questo prodotto non è stato realizzato per recare offesa alcuna verso niente e nessuno.
La rivoluzione non è un pranzo di gala,
non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo,
non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia o cortesia,
la rivoluzione è un atto di violenza.
Mao Tse Tung