La crisi Ucraina, nella sua tragicità, contribuisce a rendere visibile agli occhi di tutti qualcosa di ben più grave: la debolezza e l’inconsistenza della Comunità Internazionale. Putin, con la sua azione di forza in Crimea in pieno stile URSS (è un classico sovietico, infatti, occupare aeroporti e centri del potere nello spazio di una notte) non ha fatto altro che curare i suoi interessi nazionali, come fossimo ancora nel XIX Secolo. I lavori preparatori del G8, le Assemblee generali dell’Onu, le dichiarazioni della Nato, dell’americano Kerry o della nuova paladina dell’Europa, Angela Merkel: chiacchiere per il momento accolte dallo zar di Russia come una pulce con la tosse.
Veniamo al caso di specie: l’Ucraina ha da poco ‘defenestrato’ Viktor Yanukovich, leader filorusso abituato a governare, o meglio, ad eseguire, secondo i dettami di Mosca. Questo evento, unito alla liberazione di Julia Timoschenko, esponente della vecchia rivoluzione del 2004 con lo sguardo rivolto ad occidente, ha innescato la reazione del Cremlino. Una reazione di zero parole e tanti fatti. La repentina occupazione della Crimea, questo vero e proprio paradiso in mezzo al Mar Nero collegato solo per un lato alla terra ferma, è la risposta russa di fronte all’ ‘impertinenza’ ucraina. Ricordiamo che questa regione, da secoli oggetto di opposte golosità, ha nel corso degli anni raggiunto una spiccata autonomia, pur sempre sotto la bandiera giallazzura di Kiev. L’Ucraina, di fronte a quella che viene, giustamente, definita come un’aggressione, non accetterà facilmente un simile stato dei fatti. Dietro il nuovo establishment ucraino c’è la compattezza delle diplomazia mondiale, ma questo basterà? Forse no. Non è da sottovalutare, inoltre, il sentimento maggioritario della popolazione della Crimea che, per un buon 70%, è più vicino alla Russia che all’Ucraina. Oggi le forze di Mosca hanno praticamente occupato tutta la penisola, spingendosi anche oltre e lanciando un ultimatum per la resa, che scadrà alle 4 di mattina (ora italiana) del 4 marzo: gli eventi, insomma, sembrano aver preso una piega chiara.
Quando tutto questo sarà finito, in un modo o nell’altro, sarà forse arrivato il momento di ragionare sul ruolo della Comunità Internazionale e sulle sue effettive capacità d’intervento. Ad oggi, infatti, queste risultano inconsistenti. La Crimea è stata invasa dalla Russia (con il compiacente sguardo di Pechino) ma nulla fa pensare che gli Stati Uniti, se coinvolti in un caso simile, possano agire in maniera tanto diversa. Estremizzando, si potrebbe affermare che la logica sia rimasta quella degli stati nazionali di inizio ‘900: tutela dei propri interessi senza guardare agli altri, pesce grande che mangia pesce piccolo. Alla fine, insomma, rimane tutta una questione tra super (pre)potenze, che presumibilmente potrà essere risolta con colloqui privati. Nel 1914, però, tale logica degenerò a causa della scintilla dell’omicidio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, che determinò lo scoppio della guerra. C’è da sperare che, rispetto a cent’anni fa, qualche passo in avanti sia stato fatto.