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CONFAGRICOLTURA – CARO ENERGIA, MADE IN ITALY A RISCHIO

A quasi tre mesi dalla firma, nella sede del Ministero delle Politiche agricole, dell’intesa di filiera che avrebbe dovuto portare il prezzo del latte alla stalla a 41 centesimi al litro, ancora una volta le uniche quotazioni schizzate verso l’alto sono quelle dei costi delle materie prime e dell’energia. Per il resto, nulla è cambiato nella remunerazione alle aziende agricole, che rischiano così di essere spinte inesorabilmente fuori mercato da un’Europa che chiede di produrre sempre più cibo con meno risorse e a prezzi più accessibili per il consumatore. Uno scenario che frena in maniera significativa una ripresa a livello nazionale, e contro il quale giovedì scorso è nuovamente intervenuto Vincenzo del Greco Spezza, presidente di Confagricoltura Frosinone, ospite della trasmissione televisiva “A porte Aperte” su Teleuniverso.

«Vogliamo rappresentare al mondo politico, alle istituzioni e ai consumatori, il difficile momento che sta attraversando il mondo agricolo e in particolare la zootecnia da latte», ha spiegato. «In questa fase i produttori, gli stessi che non si sono mai fermati ed hanno sempre garantito il rifornimento di prodotti alimentari per gli scaffali della grande distribuzione anche durante il lockdown, subiscono le pesanti conseguenze di un prezzo del latte alla stalla inferiore ai costi di produzione, oggi lievitati in misura esponenziale a causa del caro energia e dell’aumento smisurato dei prezzi delle materie prime. E dopo il considerevole sforzo economico compiuto per migliorare gli standard produttivi e qualitativi delle loro aziende, oggi si trovano stretti fra l’incudine dei rincari di gasolio, imballaggi, concimi e foraggi, e il martello della grande distribuzione che impone prezzi al ribasso. È una cosa che dobbiamo dire forte e chiara a tutti: in queste condizioni le imprese agricole non hanno più il necessario livello di sostenibilità economica, senza la quale anche la sostenibilità ambientale e sociale è destinata a diventare lettera morta. Nessuno pensi che la chiusura di un’azienda abbia conseguenze circoscritte ai suoi proprietari e lavoratori: l’effetto è inevitabilmente più vasto, a partire dal contraccolpo negativo sul gettito fiscale di una categoria considerata la spina dorsale di un sistema che sostiene le esigenze delle comunità».

«Quindi, danno economico per tutti, e incalcolabile danno d’immagine per un Paese che rischia di veder indebolire — non solo in termini di quantità — le produzioni principali del made in Italy agroalimentare e le eccellenze che costituiscono gran parte del nostro export, portando all’Italia fama e benessere. Mettere in difficoltà gli allevamenti e le imprese agricole – da quelle più competitive a livello internazionale sino a quelle a rilevanza locale fondata sul Km0 – sino a farli chiudere significa sfregiare quel fiore all’occhiello che è il made in Italy del cibo, segando uno dei rami (l’altro è il turismo/turismo rurale/agriturismo) sui quali siamo seduti. Vuol dire abdicare al dovere di fare sistema-Paese e a raggiungere quella sovranità alimentare che ogni paese dovrebbe avere, perché – conclude lapidariamente il Presidente del Greco Spezza – se l’agricoltore chiude la gente non avrà più cibo sulla tavola. E questo è inaccettabile».