L’immagine delle orchestre che suonano sulla nave che affonda, mi rimanda ad un antico desiderio che ho sempre avuto, in questi ultimi anni della cosiddetta seconda Repubblica, quello di vedere la classe dirigente di questo paese smetterla di nascondersi, di far finta di nulla di fronte al degrado che ci trascina indietro giorno dopo giorno.
Con l’avvento del berlusconismo non si è più parlato di riforma delle istituzioni, dello Stato nel sue insieme e dei meccanismi che regolano la vita democratica e la partecipazione ad essa da parte dei cittadini. In tutti questi anni si è dato per scontato che la “grande riforma” era di per se già avvenuta, con l’avvento di Berlusconi e del presunto bipolarismo che con il maggioritario si riteneva consolidato nella coscienza dei cittadini e dei partiti. Così non è stato. Abbiamo anzi assistito al proliferare di nuovi partiti, quasi sempre partiti del leader, e di nuove iniziative che avevano la presunzione di creare dei nuovi poli. La riforma della politica e del suo funzionamento non vi è stata. Il finanziamento dei partiti, tanto odiati da tangentopoli in poi, è continuato più robusto che in passato, dando così il benservito al referendum che ne aveva abolito il finanziamento. I partiti stessi sono diventati sempre più antidemocratici, e questo grazie anche alla legge elettorale che va sotto l’eloquente nome del porcellum. Dunque, per richiamarmi all’introduzione, la prima questione da affrontare è proprio quella della classe dirigente: cosa deve fare mentre la nave affonda?
Oggi nel nostro paese l’unico soggetto che sembra possedere una vera capacità di movimento è solo la Lega di Bossi. Anzi che potrebbe, in presenza di un governo tecnico, scendere in piazza per battersi contro il ritardo nell’attuazione del federalismo e sollevare la “questione settentrionale” per battersi contro gli sprechi e il parassitismo. Ma è mai possibile che contro gli sprechi, il parassitismo e la corruzione si debbano battere solo i leghisti e lasciar trasformare questi temi nella “questione settentrionale”? Ma non sono temi che dovrebbero stare a cuore a tutto il paese?
Gli intellettuali e i politici, soprattutto quelli che hanno fatto del “nuovismo” il loro tratto distintivo, dove sono? In cosa sono intenti il giorno? Non sarebbe opportuno ricreare un canale di interscambio virtuoso tra i partiti e i cittadini? Aprire le porte dei partiti e della vita sociale ai giovani? Riprendere a rischiare sul futuro del paese? Smetterla di rimanere seduti comodamente sui nostri sofà? La storia solitamente non aspetta mai i ritardatari.
Giuseppe Filippi