di Anna Maria Scampone
La notte di San Silvestro è più speciale del solito quest’anno. Forse è la piccola Chiara che scalpita nel mio ventre o forse è la magia di questo cielo stellato.
«Chissà di che colore saranno i suoi occhi» dice Jacob, carezzando la mia pancia. È tenero e premuroso, forse un po’ troppo apprensivo. Vorrei si rilassasse e godesse del silenzio della notte. Siamo nel nostro chalet di montagna. L’ho voluto così il nostro primo Capodanno, lontano dal clamore della folla, nell’intimità del nostro rifugio segreto. Ci siamo amati qui, la prima volta, con la neve che scendeva giù fitta e il fuoco acceso nel camino.
«Ma dove vai in queste condizioni?» mi ha rimproverata mia madre. Dal momento in cui ha saputo che aspettavo un bambino, ha tentato di avvolgermi in un bozzolo protettivo. Sono ancora la sua bambina nonostante la pancia che cresce. Ho dovuto faticare non poco per sottrarmi alle sue premure e farle capire che…sì, grazie, posso farcela da sola!
Stasera abbiamo cenato a lume di candela, poi abbiamo chiacchierato a lungo, abbracciati sul divano. Quello che mi piace di Jacob è la sua disponibilità all’ ascolto, il suo saper tacere per dare spazio ai miei pensieri, la sua capacità di capire anche il non detto. Il tempo passa mentre facciamo progetti per la nostra Chiara. La sua cameretta è già pronta: è deliziosa nelle diverse tonalità di rosa che abbiamo scelto.
«Chiara ha voglia di festeggiare questa notte» dico divertita. La stoffa leggera del camicione che indosso ondeggia sotto la spinta dei suoi movimenti. Sono colpetti lievi che posso sopportare. Negli ultimi tempi sono più frequenti e non mi lasciano tregua nemmeno la notte. Un calcio più forte e una fitta acuta mi lasciano senza fiato. Jacob si allarma subito.
«Cosa ti succede?»
«Niente, niente…è già passato.»
«È qualcosa che hai mangiato?»
«Può essere. Ultimamente non digerisco bene.»
«Ti preparo una camomilla.»
Accoccolata sul divano, lo vedo che armeggia nell’angolo cucina. È bello il mio Jacob, anche se il semplice fatto di preparare una camomilla è un’impresa ardua per lui. La fiamma nel camino è ipnotica e mi assopisco. Un fiotto caldo mi sveglia all’improvviso. Guardo, atterrita, la chiazza che si allarga sul pavimento.
«Ho rotto le acque» annuncio.
Lui mi guarda, sorpreso e allarmato: «Ma non è ancora ora.»
Una fitta più forte della prima mi piega in due.
«Temo di sì» riesco a dire.
Lui si agita, corre avanti e indietro, senza connettere. Devo calmarlo, io che sono più spaventata di lui. Non troviamo le chiavi dell’auto. È un classico per noi, ma ora, con la concitazione del parto imminente e i dolori sempre più ravvicinati, diventa un vero e proprio incubo. Mi sforzo di respirare come mi hanno insegnato nel corso di preparazione al parto, ma mi sento un’idiota. Non mi aiuta di certo vedere Jacob che soffia a sua volta mentre butta all’aria i cuscini del divano per cercare le maledette chiavi.
«SBRIGATIII» urlo, sopraffatta dal dolore. «VUOI CHE LA SCODELLI QUI TUA FIGLIA?»
Jacob mi guarda confuso. Non la conosce questa indemoniata che gli urla contro, ma io ormai sono al di là dell’umana ragione, aggressiva man mano che sento le spinte farsi più decise.
Finalmente siamo in macchina, a folle velocità, lungo i tornanti della montagna. L’ospedale non è lontano, ma Chiara deve aver deciso che è giunto il suo momento. Distesa in macchina, prego silenziosamente che non succeda lì, in mezzo a una strada di montagna, con un compagno che non sa fare una camomilla, figurarsi far nascere un bambino.
«Ti prego Chiara, ti prego, ti prego…», ma le spinte continuano, sempre più forti e dolorose.
Il Pronto Soccorso appare all’improvviso, dietro all’ennesima curva. L’accolgo come un miraggio e una risposta alle mie suppliche. L’atrio è deserto, ma a sentire le voci allegre che provengono da dentro, c’è aria di festa. Jacob bussa freneticamente alla porta, ma è il mio urlo che allerta infermieri e medici.
In un attimo, sono su una lettiga. Intorno tanti visi incoraggianti e sorridenti.
«Signora, non facciamo in tempo a portarla su. Dia una bella spinta che ci siamo.»
Raccolgo tutte le mie forze e … dieci, nove, otto… il countdown della notte di San Silvestro accompagna la nascita della mia piccolina.
Sette, sei… il dolore è inimmaginabile, intenso e lancinante.
Cinque, quattro… ci siamo signora, un’ultima spinta!
Tre, due, uno… «Congratulazioni signora, Chiara è la prima nata del 2019.»
L’ho sentita scivolare via dal mio corpo ed è stato lo strappo più doloroso. Sento già la sua mancanza nel mio ventre, ma l’accolgo con gioia tra le mie braccia. È buffa, due occhietti vispi che mi fissano, le manine e i piedini già in movimento. Jacob, accanto a me, non trattiene le lacrime. Il suo sguardo innamorato passa da me a Chiara e da lei a me. Dovrà imparare a distribuire il suo amore e così dovrò fare anche io.