di Stefano Di Palma
Al 1756 si riconduce un ciclo di affreschi, costituito da otto lunette, eseguito da Pasquale De Angelis nel refettorio del convento di San Lorenzo di Arpino.
Sulla parete sinistra dell’ambiente si trovano le prime tre pitture di più contenuto formato e in pessimo stato di conservazione raffiguranti altrettanti episodi collegati a tematiche francescane dove il pittore inserisce al massimo due personaggi entro un paesaggio brullo. Nelle restanti pareti il De Angelis dipinge un ciclo cristologico di più ampio formato; sulla parete destra si trovano le scene di Cristo e la samaritana, di Cristo e l’adultera e la Resurrezione. Tra queste pitture spiccano per interesse e per una migliore organizzazione compositiva le due lunette principali, ossia quella della parete di fondo e quella della parete d’ingresso che si estendono ciascuna per più di quattro metri di lunghezza.
Nel primo caso si tratta dell’Adorazione dei Pastori. In questa scena il pittore delinea una ricercata ambientazione costituita sul fondo da una prospettiva di arcate e colonne che poi s’interrompe su un paesaggio; il luogo è poi descritto da più semplici elementi di matrice rustica di cui si scorgono un piano pavimentale a più livelli e, sulla destra, una struttura costituita da due muri e una copertura in paglia. Al centro si trova la Madonna e il Bambino e poco più a destra san Giuseppe munito del bastone fiorito. Alla Sacra Famiglia si rivolgono gli altri personaggi, ossia sette pastori in abiti settecenteschi che animano la scena: essi sono spartiti in due gruppi e con vari gesti e pose partecipano all’avvenimento e consegnano i loro doni.
Un gruppo di angeli in adorazione, di cui uno con il turibolo e uno più grande che mostra un cartiglio su cui si legge “GLORIA IN EXCELSIS DEO”, chiude il racconto richiamando le tipiche scenografie dell’arte presepiale in Stile Napoletano del secolo XVIII.
Nel secondo caso si tratta dell’Adorazione dei Magi. Vista la varietà offerta dal tema, in questa pittura l’autore non perde l’occasione per svolgere una composizione di più ampio respiro ed infatti torna la messa in opera di un’ambientazione di sapore classico. Sulla destra si trova il gruppo della Sacra Famiglia, dove il brano migliore è costituito dalla Madre con il Figlio, (anche se proposto, forse in una sorta di gerarchia dei ruoli, in una scala dimensionale più grande in confronto agli altri personaggi) e san Giuseppe, (a cui si aggiunge l’attributo iconografico del libro), che in modo più defilato assiste alla scena con aria sognante. Al centro sono raffigurati i tre Magi che adorano il Bambino mentre attorno a loro si snoda un corteo di inservienti; non manca ovviamente la citazione di elementi orientali (le corone, i turbanti, gli orecchini, i cammelli) che recano un tocco sfarzoso all’evento rappresentato. La scena si chiude in alto con un groviglio di teste angeliche e un essere celeste che indica la stella cometa. In questa lunetta il pittore si firma in basso a destra rivelandoci il suo nome per la prima volta in seno alla sua produzione; egli usa una scrittura stesa in obliquo e di non facile comprensione a prima vista.
Il convento di San Lorenzo di Arpino è stato gestito dal 1578 al 1861 dai Cappuccini per poi passare, nel 1885 e per breve tempo, nelle mani dell’Ordine dei Minori Riformati. La presenza Cappuccina potrebbe spiegarci la soluzione adottata nelle principali illustrazioni eseguite in quella che possiamo definire la stanza da pranzo dei frati.
Solitamente nei refettori dei conventi, dove sono presenti delle pitture, si riscontrano maggiormente temi legati all’Ultima Cena oppure ai racconti evangelici che richiamano il Cristo seduto ad una mensa; l’apparente incongruenza che corre tra questi consolidati repertori ed il caso di Arpino, oltre a suggerirci in generale una certa libertà compositiva lasciata dai committenti al pittore, potrebbe essere letta proprio nelle scene dell’Adorazione dei Pastori e dell’Adorazione dei Magi come omaggio al fondatore – san Francesco in quanto ideatore del presepe – e dunque ideale manifestazione di uno dei cardini della spiritualità francescana (cfr. S. DI PALMA, 2017).