Il processo-spettacolo non è un’invenzione dell’era moderna. L’antichità romana ha ritrovato una certa fortuna ed attualità nei noti processi di fine Novecento, meglio conosciuti come “Tangentopoli”.
Nel 70 a.C. Cicerone mise alla gogna con un grandioso atto di accusa Gaio Verre, governatore predone, ladro e malversatore, che negli anni 73-71 aveva saccheggiato e derubato la provincia di Sicilia, da lui amministrata. Il monopolio della giuria che emetteva il verdetto, a quei tempi, lo aveva il Senato che controllava i Tribunali, con il diritto di fornire giudici riservato ai soli senatori. I Siciliani, appena Verre uscì di carica, si rivolsero a Cicerone, chiedendogli insistentemente di accettare la loro difesa e di sostenere contro Verre l’accusa di concussione. L’ex governatore brigò in tutti i modi affinché come accusatore fosse scelto Quinto Cecilio, il quale nel 73 era stato con lui in Sicilia nelle vesti di questore. I giudici scelsero Cicerone, il quale il 5 agosto poté finalmente sostenere l’accusa in un Tribunale affollatissimo.
Allora i processi per concussione (e non solo) si celebravano nel Foro. Lì ciascun magistrato aveva il suo “Tribunale”, vale a dire una tribuna -di solito in legno- nella grande area sgombra da edifici che occupava la zona centrale del Foro. Si aggirava tra le Tribune sempre una grande folla: gente indaffarata o sfaccendata, che circolava passando oltre rapidamente, dando un’occhiata e soffermandosi a far corona quando il procedimento destava particolare interesse. Tale era il processo di Verre, che potè finalmente celebrarsi il 5 agosto, dopo gli inutili tentativi di Verre di farlo slittare all’anno 69, per avere possibilità di manovre sui nuovi magistrati eletti a luglio. Il cuore della rappresentazione stava proprio negli interventi degli oratori.
Si trattava di vere e proprie esibizioni, che miravano a dirottare sulla propria tesi gli orientamenti della giuria. Naturalmente parlò per primo Cicerone, come accusatore di Verre imputato del crimine della concussione. Dopo un intervento insolitamente breve (meno di un’ora), passò per nove giorni all’escussione di testi. Quelli citati erano più di 120. A metà agosto, il processo fu aggiornato a settembre, per dare la parola alla difesa.
Ma non si ebbe mai un secondo dibattito, perché Verre si allontanò spontaneamente in volontario esilio, per 26 anni, fino alla morte nel 43, vittima dei sicari di Antonio e della sua mania di collezionista e ladro di opere d’arte. Prima di morire, potè conoscere la fine del suo terribile accusatore, in quel di Formia, il 7 dicembre.
Finivano coì miseramente due protagonisti della Roma repubblicana, sui quali è incentrato il convegno di studi promosso dalla Società Dante Alighieri in Arpino, sabato 28 gennaio 2023 alle ore 9.30, presso il Castello Ladislao. Il programma, dopo i saluti istituzionali, prevede la relazione a cura di Filippo Materiale (ex preside del Liceo Tulliano) e gli interventi degli avvocati Giuseppe di Mascio (neo presidente Ordine Forense) e Gianluca Giannichedda (ex presidente Ordine Forense); è previsto altresì l’intervento dell’avv. Niccolò Casinelli. Durante il convegno sarà proiettato un video realizzato da alunni della sezione scientifica del Tulliano.