Quinto Orazio Flacco fu uno degli scrittori più noti dell’età augustea, membro del Circolo di Mecenate. La componente autobiografica molto evidente nelle sue opere ci consente di captare l’immagine che Orazio aveva di se stesso; Nelle epistole, ad esempio, egli si descrive come un uomo:
corporis exigui, praecanum, solibus aptum, irasci celerem, tamen ut placabilis essem.
piccolo di statura, canuto anzi tempo, abbronzato dal sole, facile all’ira, ma facile anche al perdono
Tuttavia, la sua fisicità era stata delineata già ironicamente in una lettera inviatagli dallo stesso Augusto; Svetonio scrive:
Habitu corporis fuit breuis atque obesus, qualis et a semet ipso in satiris describitur et ab Augusto hac epistola: «pertulit ad me Onysius libellum tuum, quem ego ut excusantem, quantuluscumque est, boni consulo. Vereri autem mihi uideris ne maiores libelli tui sint, quam ipse es; sed tibi statura deest, corpusculum non deest. Itaque licebit in sextariolo scribas, quo circuitus uoluminis tui sit Ñgkwdšstatoj, sicut est uentriculi tui».
Era di basa statura, e grassoccio, come si descrive egli stesso nelle Satire, e Augusto stesso in questa lettera: «Onisio mi ha portato il tuo libretto che io tengo in buona considerazione, pur piccolino, in quanto si accusa da sé [della sua brevità]. Mi pare che tu tema che i tuoi libri diventino più grandi di quanto tu sei. Ma a te manca la statura, non ti manca però la corporatura. Perciò potrai scrivere nel formato di un orcioletto, cosicché la circonferenza del tuo volume sia tal quale quella della tua pancia».
Come tutti gli uomini, poi, aveva delle stranezze, come, ancora una volta, ci fa notare lo stesso storiografo:
Ad res Venerias intemperantior traditur; nam speculato cubiculo scorta ita dicitur habuisse disposita, ut quocumque respexisset sibi imago coitus referretur.
Si racconta che fosse assai smodato nei piaceri amorosi; infatti si dice che avesse disposto in una stanza ricoperta di specchi delle prostitute in modo che, da qualunque parte volgesse lo sguardo, gli si presentava l’immagine di un amplesso amoroso.
Orgoglioso, rivendica in sé il merito di essere stato il primo ad aver portato la poesia eolica a Roma, adattandone dunque temi, immagini, situazioni alla sensibilità romana.
Divesne prisco natus ab Inacho
nil interest an pauper et infima
de gente sub divo moreris
victima nil miserantis Orci.
Si dirà, dove strepita l’Ofanto violento,
dove sui popoli rustici regnò Dauno, povero d’acqua,
che, nato umile e diventato potente,
per primo ho portato in Italia la lirica greca.
Tu assumi, Melpomene, la superbia dovuta al merito,
e incoronami benignamente con l’alloro di Delfi.
(Odi III, 30, vv 10-16)
Acuto osservatore, finemente ironico e di grande semplicità, Orazio ha, nel complesso, un carattere introverso e un po’ malinconico, ma anche timido e scostante. Egli è un realista ed epicureo, per cui teme la morte come fine di tutto, ricavandone uno struggente carpe diem.
Orazio è stato definito da un grande studioso quale Alfonso Traina il poeta della cura, ovvero dell’ansia. Questo perché egli è consapevole di una delle più grandi verità che riguardano l’uomo: il tempo passa e si deve morire. E così nascono alcune tra le più belle pagine dei suoi Carmina, dove la caducità della vita umana è sempre presente come un’ombra oscura che minaccia il piccolo uomo: non importa quanto si sia ricchi, influenti, potenti; la morte rende tutti i uguali.
Testi di Lucrezia di Scanno
Foto di Leonardo Perruzza