Il Velo di Maya

IL VELO DI MAYA – ARISTOTELE E LA CITTADINANZA ATTIVA

di Maria Caterina De Blasis

Tra meno di due settimane, il 17 aprile, gli italiani saranno chiamati alle urne per il referendum sulle trivellazioni, a giugno poi per le elezioni amministrative e in autunno ancora per un altro referendum, questa volta sulla riforma costituzionale. Appuntamenti che richiedono l’impegno attivo del cittadino come “animale politico”. È per questo che, prendendo spunto dalle questioni di attualità, tratteremo oggi alcuni aspetti della Politica di Aristotele.

«Ciò che è peculiare all’uomo, rispetto agli altri animali, è che lui solo sa percepire il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, e il resto. Ed è la comunanza in queste cose che fa una famiglia o uno Stato». (Politica, I, 1, 1253 a 15-18) 

Per Aristotele l’uomo è per natura un “animale politico” o sociale, vive in comunità e, soprattutto, è dotato della ragione e del linguaggio che gli permettono di percepire e quindi di esprimersi su ciò che è bene e ciò che è male, su ciò che è giusto o ingiusto.

Ogni uomo è legato alla vita comunitaria che avviene nella polis (da cui appunto deriva il termine politica). La vita associata è un’esigenza primaria per l’uomo che ha bisogno degli altri e dello Stato perché, senza educazione e senza leggi, non potrebbe raggiungere la virtù. Lo Stato, però, è molto più di una semplice vita associata. In realtà è la condivisione di scelte e di criteri di comportamento per il raggiungimento di un fine comune che è la felicità (eudaimonía) politica, seconda solo a quella speculativa, che porta alla piena realizzazione di sé. Perché lo Stato sia felice deve essere costituito da cittadini virtuosi che potranno essere tali solo se educati correttamente. È così che la questione della felicità confluisce in quella dell’educazione.

Aristotele rifiuta quella che poi verrà definita teoria contrattualistica secondo cui, invece, alla base della formazione della società, ci sarebbe un contratto sociale tra governanti e governati che pone fine allo stato di natura. Per quanto il filosofo creda che in una comunità i vincoli abbiano importanza, precisa comunque che non sono il fondamento dell’esistenza dello Stato. Scrive infatti: «È chiaro che lo Stato non è una semplice comunanza di luogo per difendersi vicendevolmente dai pericoli e per promuovere i commerci. Queste cose devono essere necessariamente presenti perché lo Stato esista; ma la loro presenza non fa sì di per sé che lo Stato esista. Piuttosto, uno Stato è una comunità di stirpi e famiglie nel vivere bene, per condurre una vita pienamente realizzata e indipendente». (Pol., III, 9, 1280, b 29-34)

L’organizzazione statale è fondata sulla figura del cittadino, dell’uomo inteso come, zòon polikón, come animale politico che è in grado di prendere parte al governo della città e all’amministrazione della giustizia. Il cittadino è tale solo se è impegnato direttamente e attivamente nella cosa pubblica. È solo per il fatto di vivere nella polis e per la possibilità che l’uomo ha di amministrarla che ogni individuo realizza pienamente se stesso come essere razionale, attivo, politico per natura e, quindi, come cittadino.

Secondo l’Ille Philosophus, perciò, «la cittadinanza non è semplicemente un modo per essere liberi; è precisamente il modo in cui si è liberi» (Pocock).