di Stefano Di Palma
Esiste il tempo nell’antica Roma? Il tempo non è una forza divina. A Roma, gli unici dèi che abbiano a che fare con il tempo sono Giano, il quale è prima di tutto dio della porta, e Giunone, dea delle nascite. Il tempo a Roma non è dunque ne il tempo degli dèi, ne il tempo degli storici; non esiste altro tempo che quello umano suddiviso dall’azione sacra o profana: il tempo è sempre la circostanza.
In effetti, il calendario delle feste riflette ciò che è la cultura romana, una cultura poliedrica che porta l’uomo di luogo in luogo, dai campi alla guerra, dalla guerra a Roma e da Roma ai campi.
Innanzitutto è importante sottolineare che l’anno, per i romani, è diviso in due stagioni: l’estate, la stagione della guerra che va da marzo a ottobre e l’inverno, da ottobre a marzo, in cui normalmente il cittadino torna casa. Marzo, il primo mese dell’anno, è consacrato alla guerra e dunque a Marte ma anche a Giunone come auspicio alle nascite. Con aprile comincia una serie di feste agricole e pastorali come ad esempio quella di Cerere dea della spiga matura e di Pale dea dei pastori.
Non ci sono feste agricole in maggio, giugno e primi di luglio. Alla fine di quest’ultimo mese e in agosto vi sono invece feste concernenti il lavoro dei campi. A luglio ad esempio ha luogo la festa delle Lucarie per proteggere la vegetazione nonché le celebrazioni dedicate a Nettuno, Furrina e Fonte protettori in vario modo della sistemazione delle acque. Le feste del mese di agosto servono a proteggere i frutti degli alberi e delle vigne contro la canicola, poiché in ottobre, quando tornano gli eserciti, hanno luogo le vendemmie, la festa dei Medicinali e si pigia l’uva per ottenere il mustum.
Settembre, novembre e dicembre sono consacrati alla vita in società sia nella sua dimensione civile sia nella dimensione domestica. Il 13 settembre si festeggia l’anniversario del tempio di Giove Capitolino. In quel giorno si svolgono i cosiddetti giochi Romani – grande momento di fusione sociale – che insieme ai giochi Plebei che si svolgono il 13 novembre rappresentano un vero e proprio evento consacrato a Giove.
La festa invernale più conosciuta è quella dei Saturnali del 17 dicembre che insieme ai Lupercali di febbraio rappresentano una sorta di carnevale volto a sovvertire ogni ordine sociale e civile nell’arco di una settimana.
Si ritiene che nessuno nell’antica Roma ignori il calendario visto che organizza il tempo e l’azione dei cittadini. Ecco perché viene affisso sui muri dei templi ed è proclamato ogni mese alle none, cioè al primo quarto di luna. Il calendario contiene dodici colonne corrispondenti a ciascun mese dell’anno e ogni giorno è segnato variamente da una sigla in lettere maiuscole (F, C, N ovvero fasto, comiziale, nefasto). Nei giorni fasti gli uomini possono svolgere qualsiasi attività perché hanno l’appoggio degli dèi. Alcuni giorni sono ancora più propizi e permettono la riunione delle assemblee popolari e dunque sono detti giorni comiziali. Nei giorni nefasti invece gli uomini non hanno il sostegno degli dèi ed è meglio proseguire solo lavori già iniziati. Nel calendario romano sono anche segnalati i giorni di festa distinguendo i giorni feriali da quelli festivi.
Per quanto concerne la scansione del mese il sole organizza il tempo della giornata e la luna serve a delimitare e strutturare il mese che dura tra i ventinove ed i trenta giorni. Il primo giorno del mese, chiamato le calende, corrisponde al novilunio. Sette giorni dopo le calende ci sono le none, cioè il non giorno del mese dove si annunciano le feste del mese e si fissano le idi che corrispondono al plenilunio. Le idi sono a metà mese, ed è un giorno di festa in onore di Giove. Successivamente la luna comincia a calare, fino alle calende del mese seguente.
Per datare un giorno del mese i Romani contano a partire dalle none, dalle idi o dalle calende che seguono immediatamente quel giorno; la datazione viene utilizzata per gli atti ufficiali, in particolare dai cancellieri dei tribunali e delle assemblee. Per noi è impossibile trovare un equivalente esatto della datazione romana, perché non possiamo sapere in quale giorno del nostro calendario ricorressero le calende, le none e le idi di un mese o di un altro. Soltanto con la riforma del calendario di Giulio Cesare, avvenuta nel 46, le date delle none e delle idi vennero fissate definitivamente per ogni mese.
Prima della riforma i Romani fanno iniziare l’anno alle calende del terzo mese dopo il solstizio d’inverno e dunque a marzo. L’anno viene suddiviso in dieci mesi; si arriva così a dicembre, il “decimo mese”; l’anno finisce e ricomincia in due mesi, gennaio e febbraio. Molto stranamente comincia prima di finire, perché gennaio, mese di Giano, viene prima di febbraio, mese delle purificazione durante il quale ci si sbarazza dell’anno vecchio.