Carissimi fratelli e sorelle nella fede!
L’annuale appuntamento della sera del 31 dicembre in questa Chiesa dedicata alla Patrona S. Restituta , anche se quest’anno non vede la partecipazione del vescovo titolare della Diocesi, non è meno denso di suggestioni e di prospettive per il nostro cammino come cittadini e come credenti. Il trovarsi a cavallo di un anno che se ne va e un altro che già inizia è di per sé evento che genera per un verso sentimenti di gratitudine per i doni e le grazie che hanno costellato lo svolgersi del tempo, e per un altro verso genera speranza di un anno migliore. Anzitutto l’inno di ringraziamento a Dio, ”Padre del Signore nostro Gesù Cristo”. “Quando venne la pienezza del tempo, ci ha ricordato S. Paolo nella seconda lettura, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, … perché ricevessimo l’adozione a figli”. Questo è il più grande dono che Dio ha fatto all’umanità, e lo rinnova ad ogni Natale che celebriamo. “Nato da donna”: è la prima volta che il Nuovo Testamento parla della Madre del Salvatore, non dice il nome, ma è lei, la sempre vergine Maria che ci offre il Figlio di Dio, che è anche suo figlio, perché possiamo gridare: Abbà, Padre.
Purtroppo però gli uomini non sentono più la bellezza e la grandezza di questa relazione di filiazione nei confronti di Dio e di fraternità nei confronti degli altri uomini. Credo che la proposta del Papa di vivere intensamente un “Anno della Fede” ha tra le sue motivazioni la percezione che lo stato della fede non è buono e che, almeno in alcune aree del mondo, la fede è messa in difficoltà fino al rischio di perderla. “Se l’uomo dimentica Dio – afferma il Papa – perde sempre di più la vita, perché la sete di infinito è presente nell’uomo in modo inestirpabile. L’uomo è stato creato per la relazione con Dio ed ha bisogno di Lui“. “Non sei più schiavo, ma figlio!, grida sempre S. Paolo, al termine del brano che, secondo lo stile della retorica epistolare antica, rappresenta la perorazione finale di tutta l’argomentazione della Lettera ai Galati. In una società senza padri, come è stata definita la nostra, bisogna ripartire riannodando la trama della relazione con Dio Padre.
Come aiuto alla nostra ricerca, il Papa ci ha offerto il suo messaggio per la 46a Giornata mondiale della pace: “Beati gli operatori di pace”. Ogni anno il messaggio per la Giornata Mondiale per la pace riveste una particolare importanza e risonanza. Viene inviato alle Cancellerie di tutto il mondo, ed è la “traccia” sulla quale Benedetto XVI basa il suo tradizionale discorso di inizio anno agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ed è il motivo per cui nelle Chiese locali viene offerto dai Vescovi alle autorità civili e ai responsabili del bene comune. Al termine di questa celebrazione offrirò copia del messaggio alle autorità, in primo luogo al Sindaco della Città di Sora che saluto con cordialità e rispetto.
Quello di quest’anno è un messaggio in totale linea con il Sinodo della Nuova Evangelizzazione. Sostiene che un rinnovato annuncio di Cristo è il primo e fondamentale fattore della pace. Afferma che un nuovo impegno e una nuova etica nascono soprattutto dall’incontro delle persone con Dio. Ed è da quell’incontro che può essere modificata la gerarchia dei criteri che dominano il mondo di oggi. Non devono esistere più i primati del potere e del profitto, si deve capovolgere il rapporto esistente tra fini e mezzi. Solo a partire dall’annuncio di Cristo, gli operatori di pace possono affrontare le sfide che li attendono e che sono moltissime.
Il messaggio segnala con forza il problema alimentare, considerato ancora “più grave” della crisi finanziaria.. Il Papa indica agli operatori di pace la strada della sussidiarietà, di una nuova alleanza da piccole a grandi proprietà rurali che si basi sul rapporto diretto con i coltivatori e che superi il problema della speculazione sui terreni. Il problema della fame nel mondo deriva anche dalla crisi finanziaria e dalle sue speculazioni. E’ una crisi antropologica, prima che economica, che deriva proprio dal presupposto che l’uomo è considerato un ingranaggio nella macchina della finanza e della produzione, e non il fine dell’economia. Una ideologia che non solo porta alla speculazione e all’aumento delle diseguaglianze, ma anche all’idea che si può erodere la funzione dello Stato sociale, fino a mettere da parte i diritti fondamentali dell’uomo se non ci sono risorse. Il Papa ribadisce con forza – come aveva già fatto nella Caritas in Veritate – il diritto fondamentale dell’uomo al lavoro.
È un diritto fondamentale che si innesta sull’amore per la vita. “Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi e sino alla sua fine naturale”. La difesa della vita umana è la pre-condizione necessaria perché l’uomo lavori per la pace. La liberalizzazione dell’aborto – denuncia il messaggio – e altri attacchi alla vita portano “solo a una pace illusoria”. “Come si può pensare – si domanda il Papa – di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri?”. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti individuali, come appunto il diritto alla salute riproduttiva che maschera il diritto all’aborto e il diritto di morire con dignità che introdurrebbe all’eutanasia: ciò può solo condurre a un uomo che non riconosce il valore della vita umana e che è dunque infelice. In fondo, il desiderio della pace è desiderio della vita nella sua pienezza.
Il Papa accenna anche al riconoscimento della struttura naturale del matrimonio, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione. Questi principi, aggiunge il Papa, non sono verità di fede, per cui riguardano solo i credenti: “essi sono iscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi cono comuni a tutta l’umanità”. Questo passaggio del Messaggio è stato oggetto di critiche e contestazioni da parte di esponenti della cultura del “gender” e dei pretesi diritti individuali.
Lo sviluppo può essere fecondo solo se alimentato da un desiderio di pace che è desiderio di vivere la vita in pienezza, con la felicità di realizzarla. La chiave è orientarsi verso il bene comune. “La pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie e intermedie, nazionali e internazionali e in quella mondiale”. È una sfida enorme che viene lanciata al mondo politico odierno è una fida che attende gli operatori di pace, chiamati in qualche modo ad essere nuovi evangelizzatori del sociale. La Dottrina Sociale della Chiesa è “l’agenda” degli operatori di pace oggi, i quali sono chiamati a realizzare la promessa delle beatitudini. Sì, non si tratta di “essere pacifici”, ossia persone che amano la tranquillità, non sopportano le dispute e si manifestano per natura loro concilianti, ma spesso rivelano un recondito desiderio di non essere disturbati, di non volere noie. Gli operatori di pace non sono nemmeno quelle brave persone che, fidandosi di Dio, non reagiscono quando sono provocate o offese. Gli operatori di pace sono coloro che amano tanto la pace da non temere di intervenire nei conflitti per procurarla a coloro che sono in discordia. L’aggettivo eirēnopoiós = pacificatore, operatore di pace, appare solo nel Nuovo Testamento. Esso è composto da eirênē, pace, e dal verbo poiéō, che significa fare, produrre, causare, compiere, determinare, far nascere. La beatitudine degli operatori di pace non indica solo un atteggiamento, ma anche una meta esterna, ‘una cosa da realizzare’, cioè la pace. S. Giacomo dice che, a nostra volta, siamo chiamati a ‘produrre la pace’, assicurando che “un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace” .
“I molteplici operatori di pace sono chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia sociale”. L’evocazione della famiglia serve al Papa per entrare nell’immenso compito della educazione alla pace. La famiglia è uno dei soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura della pace: nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore.
Tornando al vangelo di questa Messa dedicata alla divina maternità di Maria, troviamo che è proprio Maria l’ispiratrice e la custode del nostro atteggiamento interiore di operatori di pace. Al centro della scena di Betlemme c’è il personaggio di Maria con accanto Giuseppe e con il suo itinerario del cuore, alla ricerca del vero senso degli avvenimenti che ha vissuto. Solo attraverso l’intelligenza dei fatti operati da Dio, prima Maria e poi i pastori che tornano a casa danno lode e gloria a Dio e portano pace agli uomini. La vergine Madre è stata un modello di fede per i pastori di Betlemme, ma lo è anche per i pastori e per i membri della Chiesa. In Maria, con il cuore attento a cogliere in profondità il mistero del suo Figlio, la Chiesa si sente costantemente richiamata alla gioia della benedizione e alla missione di restituire alla storia degli uomini il progetto di pace di Dio. “L’incontro con Gesù Cristo plasma gli operatori di pace impegnandoli alla comunione e al superamento dell’ingiustizia”. Nel continuo evolversi degli eventi umani, carichi di complicazioni e di dolore, i credenti ricevono l’invito a trovare sempre parole nuove per dire bene di Dio e dell’uomo, a confortare con la forza e la garanzia di Colui che “è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Il Signore faccia splendere su di noi il suo volto, e ci benedica.
Mons. Antonio Lecce