di Stefano Di Palma
L’iniziativa svoltasi nell’aprile 2015 nel Comune di Balsorano, inerente ad una processione in cui sono state trasportate diverse statue di santi lungo le strade del paese, ci offre lo spunto per parlare di quella che era una tradizione perduta e strettamente sorana ovvero la “Processione di tutti i santi”.
Il fenomeno religioso ben indagato in un recente studio (cfr. L. Meglio – R. Rea, 2012) avveniva ogni anno il martedì di Pentecoste ed era conosciuta come processione della “Maonna Ranna”, ovvero la “Madonna Grande” in riferimento alla grandezza della statua della Madonna di Valfrancesca, vera e propria protagonista, che chiudeva il corteo sacro.
Non vi sono notizie certe circa l’origine di questa manifestazione religiosa. La prima attestazione sicura risale alla metà del secolo XIX e coincide con la processione di ringraziamento che gli abitanti di Sora svolsero nel 1856 all’indomani dell’epidemia di colera che colpì la città.
Le statue che partecipavano alla processione provenivano sia dalle chiese rurali sia da quelle cittadine e si seguiva un rigido protocollo, disposto dai vari vescovi per evitare confusione e abusi religiosi, che ne ordinava il luogo di arrivo, le sedi in cui erano ospitate le sacre immagini, la disposizione entro il corteo e il rientro nei rispettivi luoghi di culto.
Vista la cospicua partecipazione di fedeli il punto di ritrovo e di rientro della processione che si snodava nelle principali strade di Sora era la Chiesa e la Piazza di Santa Restituta. Si ha notizia che nel momento di massimo splendore di questo speciale atto di culto (che si ascrive alla fine dell’Ottocento) le statue partecipanti erano circa quaranta. A partire dal 1932 su iniziativa del vescovo Agostino Mancinelli il numero delle statue fu ridotto ai soli santi Patroni, Co-protettori e Fondatori di ordini monastici per rimanere invariato sino alla totale abolizione della processione avvenuta nell’anno 1961.
Tra le norme stabilite in quell’ultimo periodo vi sono quelle che indicano l’arrivo dei simulacri il giorno di Pentecoste presso la Chiesa di Santa Restituta; l’obbligo di usare la divisa della Confraternita di appartenenza per i trasportatori; il posizionamento delle statue nel luogo assegnato dal Cancelliere vescovile con il divieto di illuminarle con luce elettrica; l’obbligo per il popolo di sfilare ad inizio corteo prima dell’arrivo dei santi. Evidentemente le norme si collegano ad un evento in cui, vista la particolarità, si potevano generare disordini senza dimenticare le ragioni più strettamente religiose dove casi di idolatria potevano conoscere un non gradito impulso.
Sono ricordati anche i santi che godevano di una maggiore venerazione durante il loro passaggio. Tra questi vi erano san Gabriele dell’Addolorata, san Giuliano, sant’Emidio, san Cirillo nonché i potenti san Domenico abate, san Ciro, san Rocco, santa Restituta e ovviamente la “Maonna Ranna”.
A partire da quel 1961 si arresta indubbiamente una delle iniziative religiose, carica di umanissimi accenti culturali e tradizionali, più interessanti della città di Sora. Pur nel rispetto del pio fedele che ancora ha nella mente questo grande evento e che partecipa sentitamente alle altre manifestazioni religiose che si svolgono odiernamente a Sora, il provvedimento va ricondotto nella sua giusta dimensione volto ad una esternazione corale del culto, stimolata proprio dalle processioni, in occasioni strettamente specifiche.
Con i processi di secolarizzazione, il cambiamento di mentalità e quella cura dell’anima molto spesso passata in secondo piano anche in ambito strettamente ecclesiastico, le processioni di Sora si ritrovano svilite del loro valore essenziale ovvero l’essere un pio esercizio, momento di preghiera e di pellegrinaggio terreno verso la meta celeste divenendo una scenografica azione di prassi.
Anche il tentativo riproposto sempre a Sora nel settembre 2014 nella Parrocchia della Madonna del Divino Amore in località Pontrinio, dove in occasione dell’arrivo delle reliquie di San Pio da Pietrelcina è stata eseguita una processione con cinque statue di santi, le reliquie (costituite dal saio di San Pio) e la statua della Madonna del Divino Amore che ha chiuso il corteo, si è palesato quale sterile riproposizione, svuotata di significato e dunque fuori contesto, priva di quell’atteggiamento religioso e culturale consono e tipico di un tempo passato dove si esternava più agevolmente l’autenticità di gesti e pensieri legati ad un simile atto di culto.