“Non ci resta che piangere” è il titolo di un bellissimo film scritto, diretto ed interpretato da Roberto Benigni e Massimo Troisi, in cui Saverio, maestro elementare, e il bidello Mario, fermi con una macchina ad un passaggio a livello, cercano una via d’uscita d’emergenza, ma vengono sorpresi da un temporale e riparano per la notte in una vecchia locanda, dentro la quale si destano l’indomani, inspiegabilmente immersi in un improbabile anno 1492 (“nel 1492 quasi 1500”) a Frittole, un immaginario borgo della Lucchesia.
“Non ci resta che piangere” è anche l’esternazione di un preciso stato d’animo, a margine dell’ennesima discutibile decisione del CASMS, che decreta le porte chiuse alla tifoseria sorana nell’atteso derby Isola Liri – Sora, di scena allo stadio Nazareth.
A nulla è valso il tentativo, da parte delle due società, di consentire la partecipazione al derby ad entrambe le tifoserie: la questura si è limitata a recepire quanto disposto dal CASMS, producendo un dossier in cui si è cercato di motivare il divieto, dipingendo i sostenitori sorani alla stregua degli Unni, i temutissimi guerrieri nomadi di origine siberiana, particolarmente conosciuti per le incursioni compiute a metà del V° secolo contro l’Impero Romano d’Occidente.
Inoltre, nessuno ha preso in debita considerazione il fatto che, dal lontano 1990, le due città si sono praticamente intrecciate l’un l’altra, che tanti sorani risiedono ad Isola e viceversa, che lo stadio Nazareth offre le più ampie garanzie di sicurezza, essendo munito di telecamere di video sorveglianza, di ampio parcheggio per la tifoseria ospite, recintato da un muro di cemento armato alto 3 metri, e di via di fuga che rende praticamente impossibile il contatto fra le due tifoserie.
Il campo decreta la vittoria per 4 a 3 dell’Isola Liri, al termine di un derby molto combattuto, disputato in uno stadio in cui c’erano circa 800 spettatori sugli spalti, i quali sarebbero potuti essere molti di più se solo avesse prevalso il buon senso. I tifosi sorani non hanno potuto far altro che ascoltare la partita alla radio, oppure, come il sottoscritto, tentare una improbabile visione dalle non molto distanti colline di Vallefredda.
Ormai è chiaro a tutti che siamo di fronte ad uno Stato che non riesce a preservare la dimensione ludica e partecipativa del gioco del calcio, che svuota gli stadi e militarizza le città. Quello che preoccupa è che non si intravedono, al momento, soluzioni positive al problema, che coinvolge trasversalmente milioni di tifosi sparsi in tutta Italia. Che sia forse arrivato il momento di disertare in massa le partite? Forse in questo modo, con tutti gli stadi contemporaneamente e miseramente vuoti, chi di dovere potrà tornare sui suoi passi ed iniziare a studiare misure alternative al divieto, altrimenti, davvero, ”non ci resta che piangere”.