Nel corso dell’udienza in cui il Papa ha incontrato i rappresentanti dell’Ufficio catechistico nazionale della Cei nel 60° della sua istituzione, il 30 gennaio scorso, l’accento è stato posto sulla dimensione comunitaria della catechesi e dell’annuncio.
“In questo anno contrassegnato dall’isolamento e dal senso di solitudine causati dalla pandemia” il virus “ha scavato nel tessuto vivo dei nostri territori, soprattutto esistenziali, alimentando timori, sospetti, sfiducia e incertezza. Abbiamo capito, infatti, che non possiamo fare da soli e che l’unica via per uscire meglio dalle crisi è uscirne insieme, riabbracciando con più convinzione la comunità in cui viviamo”. Secondo Francesco, “la grande comunità è il santo popolo fedele di Dio. Non si può andare avanti fuori del santo popolo fedele di Dio, il quale – come dice il Concilio – è infallibile in credendo. Sempre con il santo popolo di Dio”. Questo, ha quindi scandito, è “il tempo per essere artigiani di comunità aperte” e “missionarie”, di “comunità che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati”. “È il tempo di comunità che, come il Buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione”.
Nel riprendere le proprie parole al Convegno ecclesiale di Firenze, il Papa ha ribadito: “Desidero una Chiesa ‘sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. […] Una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza”. “Dopo cinque anni – ha concluso – la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare”.
Carla Cristini